La crisi dell’Alitalia è stata come un bradisismo, va avanti da vent’anni, e in questi quattro lustri ha avuto un andamento sinusoidale. Oggi siamo in una fase nuova, c’è un commissariamento in atto, finalmente i dipendenti hanno capito – dopo l’estremo atto di protesta quasi luddista – che rischiano grosso e soprattutto il management scelto per gestire il traghettamento verso una proprietà nuova si è rivelato il più bravo, appunto, degli ultimi vent’anni e ha risanato la gestione ordinaria dell’azienda. E dunque, cosa capita? Che il governo Gentiloni vuole per forza – ma sarà vero? – chiudere le scelte sul futuro della compagnia entro febbraio, cioè prima delle elezioni. Senza quindi dar modo all’azienda di raddrizzarsi del tutto, per poi trovarle un nuovo padrone, venderla insomma, non più come si svende a un’asta giudiziaria una casa pignorata a un debitore moroso, ma come si vende all’asta un’opera d’arte.
Perché questo è il punto: l’Alitalia non è più un Npl, un non performing loan. Chiamiamolo miracolo, chiamiamolo botta di fortuna, chiamiamolo – piuttosto – merito di Gigi Gubitosi e degli altri due commissari al timone, fatto sta che praticamente l’azienda non brucia più cassa. Certo, ha il debito verso lo Stato da rimborsare: ma se la lasciassimo migliorare ancora un po’ forse scopriremmo che tornerà addirittura in grado di rimborsarlo dal suo. Quando l’emiratina Etihad – compagnia araba degna di uno Stato da operetta – che ne controllava il 49% senza poter salire al 51% per la normativa europea, ha gettato la spugna prendendo atto di non essere in grado di ispirare una sana gestione dell’azienda, e ha (legittimamente, per carità) fatto capire che non intendeva più buttar via altri soldi, si è constatato che non c’era un azionariato alternativo, l’azienda stava finendo la liquidità e lo Stato non ha potuto far altro che commissariarla e finanziarla con un prestito ponte da iniziale 600 milioni. A quel punto, è cambiato il vento. Ora che l’azienda ha dimostrato di saper stare in piedi da sola, guarda caso, eccoti spuntare i pretendenti. Che però non hanno la benché minima intenzione di fare un favore all’Italia o all’Alitalia. Vogliono semplicemente fare un favore a se stessi: pagando poco, tagliando molto, rischiando zero.
Vuol far così un’azienda seria che non scherza affatto e che probabilmente saprebbe anche integrare bene Alitalia nel suo gruppo, cioè la tedesca Lufthansa: ma naturalmente i tedeschi chiedono significativi tagli al personale, prima di comprare: «Pur riconoscendo le preziose misure adottate fino ad oggi sotto la guida dei commissari, crediamo fermamente che resti una considerevole mole di lavoro da fare prima che Lufthansa sia nella posizione per entrare interamente nella successiva fase del processo», ha scritto il capo di Lufthansa Spohr al governo italiano: secondo lui la «nuova Alitalia» ristrutturata sarà più piccola per personale e flotta.
Adesso capita un colpo di scena: si fanno avanti due concorrenti ben noti, partner di Alitalia da anni e anni nell’alleanza sulle rotte chiamata “Sky Team”. Si tratta di Air France-Klm e l’americana Delta. Sia chiaro: sono, soprattutto la prima, due carrozzoni mica da ridere. Meglio messi dell’Alitalia di ieri, ma chissà per il domani. Ancora una volta: nessun benefattore alle viste. Poi sarebbe ancora in lizza, ma in una posizione spuria perché è l’unico pretendente “non del mestiere”, il fondo Cerberus: che proprio non essendo del mestiere potrebbe più degli altri pretendenti aver voglia e bisogno di valorizzare Alitalia in sé e per sé, salvo poi dopo cinque anni venderla finalmente a qualche padrone vero, ma tra cinque anni, cioè – si suppone – risanata e redditizia. Non è assurdo, né impossibile.
Per sgravio di coscienza, va spiegato ai meno avvertiti che raddrizzare la gestione di un’azienda commissariata, di cui si sa solo che di qui a qualche mese apparterrà ad altri, è bestialmente difficile: le banche, i fornitori, tutti gli interlocutori esterni – gli stessi clienti e dipendenti! – guardano ai capi pro-tempore con quella sufficienza che si riserva ai passanti, come a dire: “Ok, strepita pure, tanto tra tre mesi tu non sarai più qui, e io sì”. Se Gubitosi e compagni in simili condizioni hanno fatto quel che hanno fatto, c’è da credere che con una proprietà stabile, tanto assennata da lasciarli continuare a lavorare tranquillamente, potrebbero davvero riportare l’Alitalia all’utile. Certo, se gli vendono l’azienda sotto i piedi, come da ragazzi a scuola si sfilava la sedia sotto il sedere del compagno secchione, fanno un cattivo servizio al Paese. Ma l’impressione è che il governo Gentiloni abbia fatto questa mossa molto renziana di forzare i tempi solo nella speranza, o forse nella convinzione, che nel giro di poche settimane qualcuno di buon senso tiri su il ditino e faccia notare che non c’è ragione alcuna per chiudere la vendita proprio adesso, a due mesi scarsi dalle elezioni, e con la compagnia in ripresa. E allora se qualcuno dice no, anche il governo si rassegnerà…