La notizia dell’inizio delle trattative per un governo di coalizione in Germania ha spinto l’euro ai massimi da tre anni contro il dollaro. La convinzione, non particolarmente geniale, è che la prosecuzione di quanto visto finora in Germania sia positivo per la stabilità politica del continente. La festa dei mercati, che in questo caso compravano euro, non dovrebbe appassionarci particolarmente. Scegliere l’andamento della borsa come indicatore di salute è un’arma a doppio taglio. La reazione dei mercati è comprensibile; l’incertezza è sempre il nemico ultimo degli investitori che in questa fase, tra Trump e conflitti geopolitici, non ne sentono il bisogno.



Nelle 28 pagine che compongono il documento su cui Spd e Cdu lavoreranno per trovare un accordo si leggono queste parole: “Con una stretta collaborazione con la Francia, vogliamo rafforzare e riformare l’eurozona in modo sostenibile al fine di rendere l’euro più in grado di reggere le crisi globali”. La questione europea, di cui l’euro è una componente principale, è un tema di cui si discute appassionatamente da molti mesi. Il presupposto, condiviso dall’establishment “europeista” franco-tedesco è che l’Unione europea così com’è ora non funziona. La divisione tra “sovranisti/populisti” ed “establishment europeista” non è sul giudizio sulle criticità attuali. Le criticità dell’Unione europea sono un dato statistico che si esprime sia in una crescita anemica rispetto alle altre macro-aree globali, sia in una differenza tra Paesi crescente, sia infine nell’incapacità, in buona o cattiva fede, di rispondere a situazioni oggettivamente drammatiche come quelle della periferia, a partire dalla Grecia, dal Portogallo e dal sud Italia.



Nei prossimi mesi si sceglierà come risolvere queste criticità. L’opinione di Schaeuble, un europeista di un Paese  a cui l’euro ha fatto benissimo, è stata resa nota in autunno. Si tratta di creare un Fondo monetario europeo che intervenga quando un Paese entra in crisi imponendo riforme in cambio di investimenti. Un’ipotesi oggettivamente inquietante perché la ricetta economica dell’Europa per la periferia è l’austerity, perché non c’è nessun controllo democratico e perché l’applicazione delle regole in Europa è asimmetrica. In un’unione che si concepisce veramente come tale, le violazioni greche sul deficit sono gravi esattamente come quelle tedesche sul surplus commerciale e finanziario perché entrambe lavorano allo stesso modo e nello stesso senso trasferendo potere economico e politico da debitori a creditori rendendo schiavi i primi e padroni i secondi.



Quello che dovrebbe preoccupare noi italiani è l’incipit del documento firmato ieri. In un’Unione europea vera non c’è bisogno di nessun rapporto privilegiato, soprattutto se quel rapporto privilegiato è nei fatti depositario di tutto il potere politico europeo. Se il motore del trasferimento di sovranità da Stato a Europa è il rapporto franco-tedesco dovremmo sinceramente chiederci se possiamo fidarci e se sì a che condizioni. È una domanda importante perché a oggi non c’è nessun meccanismo democratico a cui partecipiamo che lo controlla. In sostanza, il processo di trasferimento di sovranità potrebbe anche andare benissimo purché equilibrato e soprattutto fatto nell’interesse di tutta l’Unione, Grecia inclusa, e dei suoi cittadini e non dia vita a un’Unione in cui tutti sono uguali ma i francesi e i tedeschi, e gli alleati del nord, di più. Altrimenti l’epilogo è un impero franco-tedesco, più tedesco che franco, con la periferia ridotta a colonia, sventrata dall’austerity e ridotta a fornitore di manodopera a basso costo per l’industria franco-tedesca che esporta nel mondo con una valuta svalutata. Non è futuro distopico, ma il presente della Grecia.

In questi giorni si discute della riforma fiscale di Trump. Nelle ultime ore il Presidente Usa ha consegnato a Twitter il proprio compiacimento per la decisione di Fiat di traferire l’impianto di produzione di camion dal Messico al Michigan con la creazione di 2500 posti di lavoro e di riconoscere un bonus di 2000 dollari a ogni dipendente americano. È il frutto dei tagli fiscali. Una politica che Francia e Germania osteggiano perché mina dalle fondamenta la politica economica europea a partire, appunto, dal rafforzamento dell’euro che distrugge le esportazioni europee. Il surplus commerciale e fiscale tedesco, in violazione di qualsiasi regola e spirito europeo, esiste solo grazie all’Europa, altrimenti i tedeschi dovrebbero scegliere tra un marco fortissimo o gli investimenti. Su questa “imperfezione” si fa leva da decenni per trasferire potere economico e politico dalla periferia al centro franco-tedesco. Se i tedeschi investissero redistribuirebbero in tutta Europa il loro surplus lavorando in senso “unionista”, alzando i salari e riducendo le differenze. Questo non avviene perché i franco-tedeschi comprendono gli enormi benefici politici che si possono trarre da questa applicazione asimmetrica delle regole. 

Le critiche franco tedesche a Trump hanno però in realtà una sola risposta possibile. Qual è l’alternativa europea per la crescita e il lavoro europeo? Se i franco-tedeschi si oppongono ma lasciano i greci alla fame, il gioco diventa chiaro. Siete contro i nostri sgravi fiscali non perché a favore di uno sviluppo equilibrato, ma solo perché in questo modo disturbiamo il vostro giochino di dominio europeo che passa dall’austerity, dall’euro artificialmente debole e da un’economia basata su esportazioni convenienti solo per l’enorme disponibilità di manodopera sottopagata e senza diritti delle colonie. Trump non è la soluzione, ovviamente, ma nemmeno questa Europa. I festeggiamenti dei mercati perché tutto rimane uguale da questa parte dell’Atlantico sono una brutta notizia per i milioni di disoccupati greci e italiani.