Parliamo di trasporti pubblici locali, partendo da quelli romani di Atac, ma la situazione è simile ovunque. L’azienda capitolina è fallita da molti anni, nonostante i fiumi di soldi pubblici che riceve (più di un milione di euro dei contribuenti al giorno). Ma questa amministrazione, come le precedenti, ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di mettere l’azienda in gara, al fine di trovare un gestore più efficiente, che con quei soldi (o anche meno) potesse garantire servizi adeguati ai romani. Si fa così in tutta Europa, con ottimi risultati, e anche la normativa italiana, sempre disattesa, lo raccomanda e promuove.
Adesso Atac ha ottenuto l’ennesima proroga, per presentare l’ennesimo piano di risanamento. Si guadagna tempo in tutti i modi, e anche a Milano si è fatto lo stesso, ma solo con un pretesto diverso: un’operazione di accorpamento societario. Tutti uniti nella lotta per non fare gare vere, e questo è vero da vent’anni, e in tutta Italia, nonostante si abbiano i maggiori sussidi pubblici d’Europa, come se le nostre casse fossero stracolme di risorse.
Di gare in realtà ne sono state fatte un centinaio, tutte per finta: ha sempre vinto l’azienda pubblica che c’era già prima e praticamente alle stesse condizioni. Un vero miracolo statistico: infatti significa che ciascuna azienda era la più efficiente per la città dove già operava, ma solo per quella! Tuttavia il governo recentemente ha fatto una cosa molto giusta: ha stabilito una penale del 15% dei sussidi se il servizio non è messo in gara, cioè è affidato in house.
Qualche speranza tra gli studiosi era sorta (non tra i contribuenti, tanto di quelli nessuno parla). Ma il comune di Genova, con sprezzo del pericolo, ha chiarito a tutti come ci si deve comportare: ha dichiarato pubblicamente che farà la gara per evitare il taglio ai sussidi, ma ha una forte preferenza che il vincitore sia la propria azienda comunale. Un’ipotesi più che verosimile, perché il comune è anche giudice della gara… Ma come sono possibili comportamenti così estremi da parte di soggetti pubblici? Non è difficile capirlo, e i motivi sono tre, concomitanti.
Il primo è la certezza di non fallire, traducibile in “qualcuno pagherà”. Dal dopoguerra a oggi, saranno fallite in tutto tre imprese, nonostante una infinità di gestioni forsennate e clientelari (costi pubblici altissimi e tariffe bassissime). Se vengono dati continuamente segnali politici che non si vuole che vi sia concorrenza nel settore, è difficile che si presentino concorrenti agguerriti alle gare: fare gare complesse costa molto, e anche se si vince ci si troverà a che fare un soggetto ostile, in quanto dovrà finanziare in parte e controllare l’impresa che ha eliminato quella che lui favoriva. E questo terzo è il motivo principale: non si è voluto eliminare per legge il conflitto di interessi. Il giudice ente locale, infatti, è anche concorrente con la propria impresa, con la quale esercita scambi di favori di ogni tipo, soprattutto “voto di scambio” con fornitori e dipendenti.
La cura sarebbe non sussidiare dal centro (Stato e Regioni) il sistema dei trasporti pubblici. I sussidi, anche se rimanessero invariati, dovrebbero riguardare tutti i servizi sociali, in modo che i cittadini elettori possano vedere con chiarezza quanto gestioni inefficienti in un settore gli sottraggono risorse in altri servizi, magari caratterizzati da maggiore priorità sociale, che possono legittimamente anche cambiare da città a città.