Il bitcoin è una tra le tante criptovalute oggi in circolazione. Moneta virtuale nata nel 2009, non esistono banconote, non è legalmente riconosciuta in nessuno Stato del mondo e non ha un supporto fisico: eppure il valore iniziale nel gennaio 2017 era pari a 997 dollari, il valore di assestamento al 12/12/2017 e stato pari a 17.800 dollari. Le transazioni esistenti non sono illegali, ma non sono tutelate da alcuna legge al mondo. Il ripple, invece, è la criptovaluta che più si è apprezzata nel 2017; ha guadagnato il 36,18 % contro 1,318% realizzato da bitcoin nella classifica percentuale che misura la crescita reale, perché per capitalizzazione e prezzo unitario il bitcoin resta la valuta più importante. 



Tra le criptovalute, ripple ha scalato posizioni, tanto che adesso si piazza al secondo posto avendo superato pure ethereum. Per entrambe l’operatività si basa su un protocollo predefinito chiamato “peer-to-peer”, strumento che funziona in maniera identica a quello utilizzato per scaricare e condividere file on-line. Bisogna evidenziare che per entrambe la primaria differenza dalle monete correnti (quali euro, dollari, sterline, ecc.) è che le stesse non sono governate e/o controllate da nessuna banca centrale, e tutte le transazioni sono registrate su un  libro mastro pubblico che si chiama “blockchain”. La principale differenza tra bitcoin e ripple è che ripple piace anche alle banche nazionali, nonostante esista per entrambe il fine di decentralizzare le informazioni. 



Di fatto ripple è molto diversa da bitcoin  essendo  stata creata da una società californiana che ha saputo convogliare in questo progetto diverse decine di milioni di investitori, i più disparati, tra cui anche banche di prestigio come il Santander. Il protocollo di ripple implica l’avere un libro mastro delle operazioni decentralizzato esattamente come bitcoin, ma il suo è certificato  da operatori telefonici, della rete e anche da istituzioni accademiche quali il Mit di Boston. La principale differenza giuridico/economica è che mentre bitcoin nasce come strumento anonimo il cui fine primario è quello di sfuggire a qualunque autorità monetaria, ripple, pur usufruendo della blockchain, è un mezzo certificato che si stacca dal mantra delle altre criptovalute che scorrazzano indisturbate senza regole e controlli nel far west di internet. 



Ad avvalorare il gradimento che ha raggiunto, a differenza del bitcoin, ripple verso le banche è stata la comunicazione ufficiale da parte del principale consorzio di istituti asiatici sul raggiungimento di un protocollo scritto che implica  una sperimentazione di ripple come base di un nuovo sistema di carte a pagamento. A livello di emissioni unitarie, bitcoin oggi vede in circolazione 17 milioni di unità su un tetto massimo di emissione pari a 21 milioni: arrivati a tale numero il processo si arresterà automaticamente. Ripple è stata creata in 100 miliardi di unità distribuite progressivamente sul mercato; non tutte le coin però finiranno in circolazione, perché il 20%, pari quindi a 20 miliardi di ripple, rimarrà nelle mani del fondatore, tale Chris Larsen, che oggi, per la cronaca, sta lottando per entrare tra i 5 uomini più ricchi d’America con un capitale, per la sua società, di oltre 226 miliardi di dollari. 

Visto quindi che la criptovaluta più rischiosa appare il bitcoin, essendo oggi la sua capitalizzazione pari a 240 miliardi di dollari e le azioni quotate in tutte le borse del mondo pari a 80 mila miliardi di dollari, chi scrive pone l’accento sul fatto che in un’eventuale esplosione di una bolla legata a quest’ultima con il prezzo del bitcoin a 0, le perdite economiche sarebbero equivalenti a meno dello 0,6% delle sole azioni americane: forse un azzardo, ma io ci scommetterei!