Da decenni, sin dal 1963, di cui tanto si è parlato in questi giorni, le istituzioni accademiche delle due nazioni che segnano i destini dell’Europa hanno alacremente lavorato per creare istituiti comuni di ricerca, produrre documenti comuni di ricerca, organizzare convegni comuni di discussione, fornire gli sherpa governativi ben addestrati per partecipare alle riunioni intergovernative. Si sono prodotte pile e pile di documenti che in verità e in generale non sono mai state lette dai decisori, tanto è vero che se volessimo ritrovare qual è la ricerca teorica che spiega perché bisogna tener fede al famoso 3% di Maastricht, di tale ricerca non si trova traccia. Gli evocati istituti di analisi hanno poi un’altra funzione, ossia quella di fornire i mezzi di sussistenza per incarnazioni delle classi politiche in riserva o in sfortuna, così da alimentare i principi del federalismo funzionale alla Jean Monnet che sono alla base della creazione dell’euro e dell’Unione europea e soprattutto delle regole che ne sovradeterminano il tutto.



Naturalmente codesti istituti sono sì invisibilmente diretti dai caciqui economici e politici, incistati nelle tecnostrutture dell’Europa, nel suo Parlamento, nei suoi comitati, ecc., ma sono anche e soprattutto influenzati nel loro comportamento dai tic, dalle distonie mentali degli accademici come ceto sociale e, tra gli accademici, soprattutto dagli economisti che spiccano, quelli del mainstream moderno, per l’astrattezza e autoreferenzialità. Tutto il mondo sa che ciò che deciderà le sorti dell’Unione europea, nel breve periodo, sarà il congresso dell’Spd del 21 gennaio, nel corso del quale l’ultimo partito continentale del movimento operaio europeo deciderà se continuare o no la coalizione con i democratici cristiani della loro nazione. Ancora una volta a decidere tutto è la politica. Là si giocherà il futuro dell’Europa e la posta in gioco è se continuare o no con la politica deflazionistica dell’ordoliberalismus tedesco.



Naturalmente i 14 economisti francesi e tedeschi, che hanno redatto il documento di cui tanto clamore si fa oggi su tutta la stampa internazionale, sembrano completamente estranei al dibattito politico in corso e si concentrano, in modo assai tecnico, sulle questioni più spinose di quello che possiamo definire il sistema monetario europeo. A differenza di quanto emerge da alcune notizie di agenzia e di quanto è circolato sulla stampa, non si tratta affatto di un documento di critica alla politica economica europea dominante. Gli economisti che l’hanno redatto hanno tutti, in più o meno larga misura, lavorato nelle istituzioni tecnocratiche dell’Ue e portano il peso della terribile situazione in cui l’Europa è oggi immersa. Molti di loro come Klemens Fuest sono stati stretti collaboratori di Mario Monti e altri, come Marcel Fratzscher e Henrik Enderlein, hanno fatto parte di importanti comitati, mentre Jean Pisani-Ferry è stato per anni il consigliere economico di Emmanuel Macron, collaborando attivamente all’elaborazione del progetto elettorale come ci si può render conto accedendo su internet a En Marche! che è il pane quotidiano dei militanti della nuova formazione politica macronista.



Il documento presentato l’altro giorno a Berlino è tuttavia importante perché è una sorta di messaggio che le élite del potere franco-tedesco, unite nel disegno comune di ricostruire un’Europa che non corra più il pericolo della disgregazione sociale e della deflazione secolare, hanno deciso di farsi sentire in modo esemplare. Ma non facciamoci illusioni. Non si tratta di una critica al monetarismo e all’ordoliberalismo. Anzi, se i trattati devono essere modificati, devono esserlo per meglio approfondire i tratti essenziali dell’economia politica dominante. Innanzitutto si mira a realizzare un’unione bancaria europea che abbia sì un deposito comune di garanzia, ma non per condividere sovranità o per rendere manifesta una politica di solidarietà in caso di crisi. Tutt’affatto.

La proposta più significativa è quella che si dovrebbe introdurre la sovereign concentration charge, ossia la regola per cui, se nel bilancio di una banca finiscano per essere dominanti i titoli di stato, alla banca verrà richiesto di aumentare il proprio capitale, così da spezzare definitivamente quel rapporto, oggi ancora esistente, tra stati nazionali e banche, così da sottrarre di fatto completamente, totalmente, oltre alla sovranità monetaria quella creditizia, ciò che rimane degli stati e delle banche nazionali. La maledizione di Andreatta che, cupa, domina l’Italia e l’Europa dal 1981, quando si decise di far divorziare Tesoro e Banca d’Italia, esponendo la nazione al ciclone degli oligopoli finanziari globalizzati, dovrebbe diventare per i 14 allegri economisti tedeschi la regola continentale.

Sono allegri questi economisti perché sono inconsapevoli e troppo fidenti delle loro proposte. Guardate che cosa si sono inventati in merito al famigerato 3%. Naturalmente han cominciato ad accorgersi che esistono le crisi e che nelle crisi è raccomandabile operare con flessibilità. È già un passo avanti. Ma come si decide quando arriva la crisi? Semplice. Si crea un’altra tecnostruttura. Il tragico è che i 14 allegri economisti la definiscono “Ente Europeo Indipendente” . Pensate un po’. Indipendente come la Bce. E cosa dovrebbe controllare questo nuovo ente indipendente? Dovrebbe controllare dei nuovi enti che occorrerebbe creare in ogni Stato nazionale che aderisce all’Ue: “I consigli nazionali di bilancio”. Insomma un sacco di posti di lavoro per gli economisti raccomandati dal papà, dalla mamma e dai partiti. Dimenticavo. Naturalmente gli stati dovranno poi pagare i debiti attraverso le emissioni di bond appositamente creati, sempre sotto il controllo del famoso nuovo ente indipendente. Naturalmente tutto questo serve per operare quello che definiscono una “ordinata ristrutturazione dei debiti”. Si auspica inoltre, così come tutti fanno da molti anni, l’istituzione di un fondo di investimento per sostenere i paesi colpiti da “grandi crisi economiche”.

Gli allegri economisti pare non abbiano il gusto della novità, dell’originalità, salvo che per quel che riguarda la produzione di nuovi strumenti finanziari che essi definiscono alternativi ai bond, ossia i famosi “EsBies” che essi definiscono non Eurobond, e che non dovrebbero servire alla “mutualizzazione del debito”, tanto per non farsi illusioni e per proseguire con la costruzione di strumenti di distruzione finanziaria di massa.

Ma è solo alla fine del documento dei 14 bontemponi che scopriamo quale è la loro vera vocazione. Quando si prevede di stabilire un raccordo tra la Presidenza dell’eurogruppo e la Commissione Ue, così da meglio coordinare le politiche europee. E come? Ma naturalmente creando un nuovo ente “di controllo”, ed ecco qui la vocazione vera. Creare nuove occupazioni, nuovi posti di lavoro per economisti figli di mamma e papà, ad alto reddito. Ecco la solidale, nuova Unione europea.