L’Europa, per fortuna, non ci aspetta. In attesa che, in qualche maniera, dal dibattito pre-elettorale emerga qualcosa di più realistico della lunga serie di promesse più o meno avventurose, molte cose stanno cambiando sotto i cieli dell’Eurozona, in forte recupero finanziario ed economico, ma sempre più fragile sul fronte delle strategie, indebolita com’è dall’offensiva fiscale e dall’ideologia anti-global che caratterizza l’America di Donald Trump.
In questa cornice s’inquadra la riflessione che ha coinvolto una quindicina di economisti francesi e tedeschi alla ricerca di soluzione in grado di sbloccare l’annoso dibattito su austerità e disciplina fiscale (così care alla politica tedesca) e la necessità di riavviare un piano di crescita sia dell’occupazione che degli investimenti in tecnologia (l’emergenza numero uno per la Francia di Emmanuel Macron). Per sei mesi le teste d’uovo più illustri e influenti sulle due sponde del Reno si sono confrontate nel più assoluto riserbo, lontano dai riflettori della cronaca ma vicine ai centri del vero potere.
Nella squadra francese, ad esempio, spiccava la presenza di Jean Pisani-Ferry, che ha curato la piattaforma elettorale di Macron, mentre sul fronte tedesco sono stati coinvolti Marcel Fratzscher, vicino al leader della Spd, assieme a Clemens Fuest e Isabel Schnabel, autorevoli esponenti del pensiero della Cdu-Csu di Angela Merkel. Il risultato? A sorpresa, contro le previsioni degli stessi protagonisti, il lavoro si è concluso con l’accordo su un documento che promette di costituire una delle basi della “posizione comune” franco-tedesca da presentare al summit europeo di marzo, quando, con ogni probabilità, sarà nato il nuovo governo tedesco.
L’obiettivo è di procedere in fretta. Nelle prossime settimane, ha dichiarato il ministro francese Bruno Le Maire, si affronterà il tema dell’unione bancaria e quello dell’unificazione dei mercati finanziari, nonché un quadro comune per la tassazione delle società, in attesa di metter mano ai dossier più esplosivi, tra cui l’ammontare del bilancio e, più ancora, chi lo deve finanziare. La strada è ancora in salita, ma i protagonisti hanno deciso di percorrerla, come tra l’altro dimostra l’agenda di Le Maire, che lunedì illustrerà il progetto a Pier Carlo Padoan e al ministro spagnolo Luis de Guindos.
Ma quali sono e novità suggerite dagli economisti? Il primo obiettivo da raggiungere era quello di conciliare la condivisione dei rischi con la disciplina dei mercati. Ovvero creare un sistema di garanzie a favore del sistema bancario senza mettere a rischio i quattrini dei partners più solidi, per niente fiduciosi sulle virtù della finanza mediterranea. Come ribadito dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, per i tedeschi si potrà far progredire l’unione bancaria solo quando “sarà eliminato il trattamento privilegiato dei titoli di Stato nei bilanci delle banche per evitare di far rientrare dalla finestra la mutualizzazione dei rischi sui debiti pubblici”. La situazione si potrebbe sbloccare, aprendo così la strada all’assicurazione comunitaria dei depositi, se si decidesse di imporre a chi sfora la richiesta di maggiori capitali. Il “premio” chiesto, come capita per l’assicurazione auto, sarebbe determinato in base alla rischiosità nazionale.
Il punto centrale dell’architettura del sistema, qui come su altri punti, è che i rischi possono esser condivisi purché poggino su un sistema di regole e di sanzioni dettato dal mercato e non dalle “opportunità” politiche. Il meccanismo tiene, insomma, solo se basato sulla neutralità delle soluzioni. Basta con le interminabili maratone notturne a Bruxelles o le patetiche scene a difesa di un presunto interesse nazionale. Il principio vale per la regola del rapporto deficit/Pil che si presta a interminabili discussioni perché di non facile determinazione. La regola suggerita dal think tank prevede che la spesa pubblica non può crescere più del prodotto nominale di lungo periodo, e deve restare inferiore a quel target nei paesi che devono ridurre il debito.
Chi viola la regola dovrà emettere dei titoli di stato “subordinati”, quindi più costosi e rischiosi dei titoli ordinari. In caso di intervento in assistenza del Fondo europeo di stabilità o di suo successore, questi titoli di stato subordinati saranno ristrutturati, allungandone la scadenza. Sarà anche previsto un fondo paracadute per affrontare le situazioni critiche, specie per quel che riguarda l’occupazione, purché alimentato dai fondi degli Stati con il contributo dello 0,1%. Lo stock di titoli di stato ordinari non verrebbe toccato, per evitare eventi sistemici, ma niente nuovi debiti, per carità.
Il principio è sempre lo stesso: rispettare le regole conviene. Ma perché ciò possa avvenire non devono essere imposti traguardi impossibili o che costringano a sacrifici odiosi i contribuenti. Non è detto che la ricetta sia quella giusta. O che non si possa migliorare, con il contributo dei partner. Ma conforta prender atto che almeno una parte degli europei voglia riprendere in mano le regole della Comunità, già carenti in partenza, invecchiate e imbolsite in questi anni. Il principio è sano: rigore più neutralità di giudizio. Manca ancora un ingrediente: più democrazia, quel che caratterizza la vecchia Europa rispetto a despoti.