All’inizio, all’uomo Adamo, Dio disse: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto”. Con Marx, quest’annichilito tizio, diventa titanico, svolgendo “quell’attività regolatrice di tutte le forze naturali”. L’aristocrazia lo retrocede a fare quella disdicevole attività da far fare ad altri. La borghesia produttiva prima lo priva dei mezzi di produzione poi lo impiega, iniettandogli l’antidoto contro l’ozio, padre del vizio. Gli eticisti, non paghi, gli affittano quel ricostituente che, lavorando, fornisce dignità all’essere. Per tutti, invece, occorre fare quel che tocca fare per così poter disporre di quel-che-che-serve-per-vivere. Sì, il lavoro, quello esplicito: benedetto, maledetto, voluto, sperato, sudato; quello prima svalutato poi mal pagato; quello vilipeso o, peggio, in disuso.
Giust’appunto, quello svolto per poter acquistare la vita. Quella vita grama che non ce la fa più a smaltire proprio quanto le nuove tecnologie, l’automazione dei processi, l’intelligenza artificiale sono riuscite a produrre e portare al mercato e che deve esser acquistato per poter poi doverlo ri-produrre. Così finisce quell’antico evo, iniziato con quella divina maledizione; quello stesso che, misericordiosamente, perdona il “figliol prodigo”.
Nuovo evo, vita nuova: oggi, nell’Economia dei consumi tutt’un altro lavoro, forse implicito, ma lavoro, eccome…. Già, oggi occorre farsi prodighi per poter esser prosperi; prosperi per poter esser prodighi! Già, proprio a quel negletto esser prodigo toccherà lavorare [1] per salvare capra e cavoli e il poco che, di quell’antico lavorare, resta.
Bene, ma… in questo nuovo evo, il prodigo, per poter esercitare la propria mission, ha bisogno di aver guadagnato; prima, non dopo l’esercizio! Se tanto ci dà tanto e per far sì che questo accada, occorre aggiornare risolutamente quel meccanismo che, giust’appunto dalla notte dei tempi, trasferisce la ricchezza generata dalla spesa all’impresa, per poter remunerare i fattori della produzione.
Trasferimento che ancor oggi mette in tasca più a chi già ha, meno a chi non ha; niente per acquistare l’esercizio di quel prodigo che pure ha un inestimabile valore di mercato: eppur le imprese prosperano se tu spendi; alle imprese conviene che tu sia prospero! Giust’appunto, proprio questa mancata stima ha generato la crisi.
[1] Già, lavoro di dover fare la spesa ben oltre il bisogno, doverla poi consumare per far riprodurre, pagare l’Iva per far fare spesa pubblica e se, dopo cotanto fare, resta in tasca il resto verrà preso in prestito dall’impresa per fare spesa in conto capitale.