Come ormai noto, Vivendi controlla Tim (Telecom Italia), essendone il principale azionista dal marzo 2016, all’epoca con il 24,9% di azioni, attualmente al 23,94%. In una prima fase, forse anche per pressioni politico-istituzionali nazionali, Vivendi ha scelto come amministratore delegato Flavio Cattaneo: il 30 marzo 2016 lo nomina Ad di Telecom Italia e nel luglio 2017 ne annuncia le dimissioni, con una liquidazione “monstre” di circa 25 milioni di euro. 



1) Già a fine luglio, Amos Genish è diventato Direttore Operativo e da settembre nuovo Amministratore Delegato. Vale senz’altro la pena conoscerne la biografia, del resto pubblicizzata sul sito istituzionale aziendale. Chief Convergence Officer di Vivendi dal 4 gennaio 2017, Genish è stato CEO di Telefônica Brasil dal maggio 2015 al primo gennaio del 2017. Uomo di lungo corso della telefonia, il manager è stato co-fondatore e CEO di Global Village Telecom (Holding) fin dal 1999. GVT è un operatore alternativo brasiliano che Genish ha portato da zero a diventare un colosso con 18mila dipendenti, con sedi in 156 città del Brasile. Nel 2009, la compagnia è stata venduta a Vivendi per 4,8 miliardi. E nel 2014 dalla francese alla spagnola Telefonica per 9 miliardi.



Di origine israeliana, è cresciuto con 11 fratelli in un quartiere di Netanya. A 14 anni gli fu permesso di studiare a Gerusalemme nella prestigiosa scuola Himmelfarb, la scuola dei ricchi. Ha combattuto anche come capitano nella prima guerra del Libano, consapevole che “per avere successo in seguito, dovevo essere ufficiale di un’unità di combattimento. Così funziona la società israeliana“. A Tel Aviv, ha poi studiato economia all’Università. Per una biografia completa, si veda questo articolo del 29/9/2017.

Quindi, alcune osservazioni di sintesi:

– Amos Genish è un manager a livello internazionale, con una forte caratura tecnica nelle telecomunicazioni (a differenza di Flavio Cattaneo, che invece poteva vantare una carriera da manager in vari settori nazionali),



– è straniero – attualmente, parla in inglese al lavoro (in Brasile, nel tempo, aveva imparato un fluente portoghese),

– è un “uomo fidato” di Vivendi al 100%, (anche se i rumors su un suo possibile disimpegno lanciato dal Sole24Ore del 24/1, e subito smentito, porterebbero a pensare diversamente!)

– ha una notevole conoscenza del mercato brasiliano ed è stato a capo di Telefonica in Brasile.

È fin troppo facile legare quest’ultimo aspetto con il fatto che Telecom Italia possiede TIM Brasil, la sua principale filiale all’estero, considerata l’ultimo gioiello di famiglia dell’ex monopolista. TIM Brasil rappresentava il principale interesse per Telefonica, quando questa prese il controllo di Telecom Italia, nel 2007. Riuscire a vendere TIM Brasil sarebbe un enorme “affare” per Vivendi, ma darebbe un colpo quasi decisivo a Telecom Italia, che si ridurrebbe a semplice player nazionale, quindi per proporzioni, nel mercato globale attuale, destinato ad essere assorbito da altri concorrenti.

2) Altra informazione nota al vasto pubblico, è che Vivendi ha provato a “scalare” Mediaset ed è nato un contenzioso molto forte con la dirigenza di Mediaset. Riprendiamo da un articolo comparso sul Giornale del 20 gennaio, alcuni passaggi che riteniamo molto esemplificativi di come si intende gestire ed usare l’azienda:

“Il 20 gennaio, il Tar del Lazio ha posticipato dal 7 febbraio al 4 luglio l’udienza per discutere il ricorso di Vivendi contro la decisione dell’Agcom dell’aprile dello scorso anno, che impone ai francesi di scegliere tra il controllo di Tim, di cui ha il 23,9%, e la quota rilevante (il 29,9%) che ha in Mediaset. In pratica Agcom aveva imposto ai francesi di ridurre la quota in Mediaset sotto il 10% entro il prossimo 18 aprile. Ora, con il rinvio chiesto da Vivendi, la data si allontana. Vivendi però, fino a qualche giorno fa, era praticamente sicura di riuscire a chiudere la questione con il Biscione. Tanto che lo scorso 19 dicembre è stata fatta slittare al 27 febbraio anche la causa risarcitoria promossa da Mediaset e Fininvest in tribunale contro i francesi, che potrebbe costare a Vivendi fino a 3 miliardi per lo stesso motivo. A oggi, però, nelle trattative non si registrano passi in avanti. E il motivo c’è: Vivendi cerca in qualche modo di trasferire sulla stessa Telecom l’onere del contenzioso con Mediaset. Non in maniera diretta, naturalmente. Ma si può vedere così l’idea proposta a Mediaset di far acquistare da Telecom prima 400 milioni (poi lievitati a 460!) di contenuti in quattro anni. E poi di cedere una parte della sua partecipazione nella newco che aveva costituito con Tim Vision per la creazione di contenuti”.

3) Ancora, altro tema scottante: la joint venture fra Telecom Italia e Canal+. La proposta e la prima ratifica sono state fortemente contestate a diversi livelli. Anche qui riprendiamo da un articolo comparso sul Giornale del 18 gennaio:

“A spingere Tim nell’impresa è la sua controllante, Vivendi, che possiede Canal Plus. E quindi, nell’ottobre scorso, il cda aveva deliberato la creazione di una joint venture tra Tim Vision e Canal Plus sui contenuti. Un progetto costoso per Tim che della joint venture aveva l’80%, sceso poi al 60% quando Vivendi sperava ancora di sedare la ‘ribellione’, sull’accordo, dei consiglieri indipendenti e del consiglio sindacale. Purtroppo (per il gruppo francese) i termini migliorativi (per Tim) della joint venture non sono bastati a sedare la rivolta. Tanto che i rappresentanti della governance societaria si sono rivolti alla Consob, chiedendo che l’operazione venga approvata con la procedura dedicata alle parti correlate di maggiore rilevanza. Il risultato è che ieri il cda Tim, presieduto Arnaud de Puyfontaine, ha stabilito che l’accordo verrà riproposto nei termini ‘consigliati’. Sarà, dunque, costituito un apposito comitato, formato da tutti i consiglieri indipendenti e presieduto da Lucia Calvosa (indicata da Assogestioni), che guida anche il comitato rischi. Questo dovrà esprimere un parere vincolante. E dunque i termini della joint venture, che anche i piccoli azionisti di Asati avevano giudicato molto onerosi per Tim, andranno rivisti e la partecipazione di Tim potrebbe scendere al 20 per cento”.

Nel luglio 2017, Asati, l’associazione dei piccoli azionisti, aveva affermato in un proprio comunicato: “Apprendiamo, da diversi organi di informazione, che la controllata pay tv di Vivendi, Canal +, avrebbe proposto a Telecom Italia la creazione di una joint venture per l’acquisizione di contenuti audiovisivi e per la produzione di serie televisive. Sempre secondo tali fonti, l’operazione, sulla base del ‘modello Netflix’, permetterebbe a Telecom ‘di sviluppare rapidamente contenuti originali per il mercato italiano’, contrastando, in ambito sud Europa, l’avanzata dei concorrenti internazionali. Se rispondesse a verità, sarebbe l’ennesima testimonianza che il timone del comando di TI è saldamente nelle mani dei francesi, pronti a consolidare ulteriormente la loro posizione in Telecom e ‘condizionarla’ alle esigenze delle loro tv a pagamento. Se così fosse, ci auguriamo anche che abbiano il buon gusto di riconoscere apertamente che ‘controllano e coordinano’ la Società, e, conseguentemente, di consolidarne il debito. Ugualmente ‘pro Vivendi’ – e senza particolari chiarimenti della sussistenza di un significativo vantaggio per TI – sembrerebbero alcuni movimenti paralleli verso altri soggetti ‘industriali’ (Rai & Mediaset), acuendo il dubbio che gli annunciati ‘rinnovamenti’ di TI vadano più potenzialmente nella direzione esclusiva del business di Vivendi che non nell’interesse dell’azionariato nel suo insieme”.

Come abbiamo detto, ora questa joint venture è stata riproposta in termini nuovi – in questo caso l’opposizione molto netta dei consiglieri indipendenti in CDA ha avuto ragione di una prima proposta, possiamo dire, almeno poco trasparente. Questi elementi ci consentono già di cogliere alcune linee guida con le quali Vivendi sta “controllando e coordinando” un’azienda come TIM, quali finalità sta perseguendo e con quali metodi.

È all’interno di questo quadro che occorre collocare anche il recente annuncio dell’azienda ai sindacati di procedere ad un forte ridimensionamento dei dipendenti nei prossimi tre anni 2018-2020: sono previste uscite volontarie di quattro o cinque mila dipendenti entro fine anno, a cui si sommerebbero altri 2.500 esodi incentivati. Si tratta di quasi il 15% dell’attuale forza lavoro del gruppo a livello domestico. Per una sintetica informazione vedi qui.

Seguiremo attentamente lo svolgersi della trattativa azienda sindacati, insieme all’evolversi del rapporto dell’azienda con il governo, ed in particolare con il ministro dello Sviluppo economico, Calenda.