Vorrei dimostrare in questo articolo che il trasporto aereo italiano soffre di un grave problema, ma esso non è la crisi di Alitalia. La compagnia commissariata rappresenta infatti solo il problema più noto, ma non il più importante. Invece il problema più importante ma non il più noto è la scarsità di collegamenti diretti di lungo raggio dal nostro Paese non attuati da Alitalia, che dispone di una flotta di lungo raggio più piccola di quella che utilizzava nel lontano 1973, e solo in parte sostituiti da voli diretti di vettori non europei. Gli altri grandi vettori europei mettono invece a disposizione anche per noi voli verso tutto il mondo, ma lo fanno dai loro hub nazionali, convertendo anche la nostra domanda in loro occupazione, fatturato e gettito fiscale. Se Alitalia verrà venduta a Lufthansa si attenuerà il problema più piccolo, amplificando quello più grande.



Come ho ricordato nel precedente contributo, le vecchie compagnie di bandiera a proprietà pubblica, monopoliste sui cieli nazionali, sono state ovunque privatizzate in Europa e operano in un mercato comunitario liberalizzato da ormai un ventennio. Tuttavia sulle rotte intercontinentali continuano a volare, con pochissime eccezioni di cui le maggiori sono gli Usa e il Canada, in qualità di rappresentanti della propria bandiera, designate dagli stati nazionali in accordi bilaterali coi paesi corrispondenti. Esse assicurano principalmente questo tipo di collegamenti, rimasti profittevoli, dopo aver alleggerito la loro presenza sulle rotte nazionali e comunitarie, contese dai vettori low cost e sulle quali non sono più in grado di ottenere una redditività soddisfacente.



In questo contesto Alitalia rappresenta un caso anomalo. Dopo essere state gestita con grande efficacia e lungimiranza nel suo primo quarto di secolo ed essere sopravvissuta alle due crisi petrolifere degli anni ’70 e ritornata stabilmente in attivo nel decennio ’80, ha subito negli anni ’90 le vicende, economiche e politiche, dell’ente che la controllava, l’Iri, che, in quanto oberato dai debiti e zavorrato da insostenibili perdite, fu destinato a un drastico ridimensionamento dall’accordo Andreatta-Van Miert del dicembre 1993. In base a questo accordo lo Stato italiano si impegnava a ridurre l’elevato livello dei debiti dell’Iri, inevitabilmente attraverso processi di privatizzazione delle sue partecipate, mentre i conferimenti pubblici di capitale, così come le garanzie pubbliche sul debito sarebbero stato considerati per il seguito aiuti di Stato, non potendosi assimilare a scelte d’investimento di mercato a causa delle perdite dell’ente. Dal quel momento in avanti diveniva difficile per l’azionista pubblico anche finanziare gli investimenti necessari per la crescita di Alitalia. Alla metà del decennio ’90 abbiamo pertanto nel nostro Paese:



1) un mercato del trasporto aereo destinato a una forte crescita per effetto del completamento della liberalizzazione europea;

2) per la medesima ragione una prevedibile crescita della concorrenza, con l’ingresso di nuovi operatori e lo sviluppo di quelli privati o esteri già operanti;

3) la necessità di una crescita dimensionale di Alitalia, da realizzarsi attraverso investimenti nella flotta, al fine di difendere le quote di mercato e il posizionamento del vettore in un mercato in espansione;

4) l’impossibilità a finanziare tale crescita con fondi Iri o garanzie pubbliche a causa degli impegni assunti in sede comunitaria. Di fronte all’impasse l’unica via d’uscita praticabile era rappresentata dall’avvio di processi di privatizzazione o integrazione europea del vettore. Essendo indispensabili nuovi capitali che non potevano più essere conferiti dal settore pubblico, occorreva evidentemente ricercarli nel settore privato. Tuttavia qui si aggiunge:

5) la resistenza della politica e del sindacato di fronte alla possibile perdita di controllo di Alitalia, che troverà pochi anni dopo il suo culmine nel boicottaggio dell’accordo d’integrazione con Klm.

Pertanto, mentre il mercato accelera per la liberalizzazione, Alitalia non è più in grado di crescere e non essendo in grado di crescere è destinata progressivamente a declinare. Il Grafico 1 illustra come il mercato italiano del trasporto aereo sia aumentato di una volta e mezza nell’ultimo ventennio, ma evidenzia anche come l’intera crescita dall’inizio del decennio 2000 sia interamente dovuta ai vettori low cost. Essa si realizza tuttavia per intero nell’ambito dei voli di breve e medio raggio intracomunitari, non potendo beneficiare in alcuno modo il lungo raggio che ai vettori low cost è precluso. Le dimensioni complessive di Alitalia restano invece invariate nel tempo, nonostante l’integrazione di AirOne avvenuta all’inizio del 2009, e la sua offerta di lungo raggio addirittura si riduce in maniera sensibile.

Grafico 1 – Il mercato italiano del trasporto aereo

(Passeggeri trasportati – milioni)

Fonte: elaborazioni su dati Enac, Dati di traffico, vari anni, e Istat.

Come già ricordato, Alitalia in qualità di compagnia di bandiera ha sempre avuto il compito principale di assicurare il lungo raggio, quella che poi era già la sua mission al momento della fondazione nel 1947. Tuttavia dopo il 1995, nel mezzo dello smantellamento dell’Iri e nei periodi seguenti, essa non è più in grado di accrescere l’offerta di lungo raggio, seguendo lo sviluppo di questo segmento del mercato. Sceglierà anzi di fare il contrario, riducendo sensibilmente la flotta di lungo raggio e la relativa offerta a fronte di una domanda in rapida espansione. Gli altri grandi vettori europei negli stessi anni adottano la strategia opposta, con l’obiettivo di espandersi in un segmento remunerativo e di compensare un alleggerimento nei segmenti oggetto della crescente concorrenza dei vettori low cost. Il mix di offerta dell’insieme dei vettori europei tradizionali, misurato attraverso i posti km annui offerti per segmento, è rappresentato per il periodo dal 1992 al 2013 nel Grafico 2; ogni dato mensile riporta l’offerta totale dei 12 mesi terminanti con esso (anno mobile). Come si può osservare la crescita del peso del segmento intercontinentale è impressionante.

Grafico 2 – Posti km annui offerti dall’insieme dei vettori europei tradizionali per segmento

Miliardi di posti km (ASK)

Fonte: elaborazioni su dati AEA-Association of European Airlines

Il Grafico 3 riporta la stessa tipologia di dati per Alitalia ma si ferma purtroppo all’inizio del decennio 2000. Come si può notare, per tutto il periodo osservato sino all’anno 2000 Alitalia è un vettore in cui il lungo raggio è predominante (sino all’anno 1994 i voli domestici sono coperti prevalentemente dalla consociata ATI, non inclusi nel grafico). Le cose cambiano radicalmente con l’inizio del decennio 2000: nel 2001 l’offerta di lungo raggio scende da 30,2 a 24,7 miliardi di posti km (-18%) e nel 2002, dopo le torri gemelle, a 17,8 miliardi (ulteriore -28%, per una riduzione totale nel biennio del 41%). Negli anni seguenti il taglio nell’offerta di lungo raggio sarà recuperato solo in una quota limitata. Poiché non disponiamo dei dati dettagliati per gli anni successivi conviene proseguire il racconto basandoci sulle dimensioni della flotta di lungo raggio.

Grafico 3 – Posti km annui offerti da Alitalia per segmento

Miliardi di posti km (ASK)

Fonte: elaborazioni su dati AEA-Association of European Airlines

Nel 1965 Alitalia aveva in flotta 16 aerei di lungo raggio e nel 1973 già 29, di cui due dedicati esclusivamente al cargo; nel 1995 la flotta di lungo raggio arriva alla sua massima espansione, con 36 aerei, di cui due solo cargo; alla fine del decennio i 36 aerei sono scesi a 34 e all’inizio del 2001, pochi mesi prima che il boom del mercato sia interrotto dagli attentati alle torri gemelle, vengono inspiegabilmente tagliate molte rotte intercontinentali e mandati fuori flotta in un colpo solo ben 8 aerei a lungo raggio, portando il totale a soli 26 velivoli. Questa scelta appare ancora più insensata alla luce del fatto che solo l’anno prima era stato inaugurato il nuovo aeroporto intercontinentale di Malpensa, costruito appositamente come secondo hub della stessa Alitalia. Che senso vi era nel raddoppiare l’hub permettendo nello stesso tempo ad Alitalia di ridurre di quasi un terzo gli aerei per i quali l’hub assumeva rilevanza? Questa è una domanda alla quale nessuno di coloro che avevano titolo per decidere sul trasporto aereo ha mai dato risposta.

Un secondo mistero consiste nel perché la nuova Alitalia dei “capitani coraggiosi”, progettata nel 2008 e partita nel 2009, abbia ulteriormente ridotto la flotta e l’offerta di lungo raggio. Infatti, nel 2007-08, al momento della crisi del vecchio vettore, Alitalia aveva in flotta 25 aerei passeggeri a lungo raggio ai quali se ne aggiungevano due di AirOne. Perché il nuovo vettore, potendo partire con 27 aerei a lungo raggio, scelse di farlo solo con 18, un terzo in meno della flotta preesistente? I 18 aerei iniziali sono poi divenuti 22 nel 2011 e tali sono rimasti sino alla resa dei capitani coraggiosi e al passaggio delle chiavi aziendali agli arabi di Etihad. Questi ultimi avevano promesso un rapido rilancio del lungo raggio, ma si sono in realtà limitati ad aggiungere un paio di aerei a metà del 2015 e uno ulteriore all’inizio di quest’anno, portando la flotta totale di lungo raggio alle attuali 25 unità, un valore che resta tuttavia inferiore a quello del lontano 1973.

Questa carenza di offerta sul lungo raggio si può osservare ancora meglio in base alla capacità della flotta in termini di posti passeggeri totali a bordo (Grafico 4). Essa è stata in crescita dal 1965 al 1995, pur con la battuta di arresto delle due crisi petrolifere, ed è passata da circa 2.050 posti nel primo anno considerato a 9.800 nell’ultimo. Il discorso cambia radicalmente dopo il 1995: nel 2001, qualche mese prima delle torri gemelle, la capacità è drasticamente ridotta a 6.900 posti (-30% rispetto al 1995) mentre nel 2009 il nuovo vettore privatizzato debutta con una capacità a lungo raggio di soli 4.900 posti, la metà esatta rispetto al 1995 e un valore più basso rispetto a quello del 1973, 35 anni prima. Oggi essa è nuovamente ritornata all’incirca al livello al quale era pervenuta col ridimensionamento del 2001, tuttavia in questo periodo i passeggeri intercontinentali diretti da e per l’Italia sono saliti da 10 a quasi 18 milioni, un incremento che è stato integralmente lasciato ai vettori non europei concorrenti. Infatti, se Alitalia non offre adeguati collegamenti diretti a lungo raggio dal nostro Paese non possono farlo al suo posto vettori europei concorrenti, date le restrizioni regolamentari vigenti. Essi possono offrire solo collegamenti indiretti tramite i loro hub nazionali (essenzialmente Parigi, Francoforte, Amsterdam e Londra), ma si tratta, evidentemente, di un servizio non equivalente tanto per gli italiani in uscita che per gli stranieri in entrata.

Grafico 4 – Posti totali sulla flotta Alitalia di lungo raggio

(Posti a bordo – migliaia)

È dunque evidente come oggi, sul fronte di quella che dovrebbe essere la mission principale di Alitalia, l’offerta sul lungo raggio, resti una grave carenza che non potrà certo essere colmata con la vendita di Alitalia a Lufthansa, un vettore che già opera su tre hub collocati a breve distanza dall’Italia (Francoforte, Monaco e Zurigo), e che non intenderà far concorrenza a se stesso rafforzando l’offerta intercontinentale diretta dal nostro Paese. Oggi il nostro trasporto aereo ha due problemi di grande rilievo: la crisi di Alitalia da un lato e l’insufficiente offerta di lungo raggio dall’altro. Il primo problema è il più noto, ma il secondo è il più rilevante e se si pensa di risolvere il primo vendendo Alitalia a un vettore di bandiera estero si finirà con l’aggravare irrimediabilmente il secondo.