I dati macroeconomici italiani del 2017 mostrano un Paese in ripresa significativa. Il Pil ha fatto registrare un incremento inaspettato intorno all’1,5%. La produzione industriale e gli indici di fiducia delle imprese non sono tornati ai livelli del 2007, ma sono in sensibile miglioramento; anche i tassi di occupazione stanno crescendo, come pure le performance reddituali delle imprese che ora sono in grado di autofinanziarsi in modo nettamente maggiore rispetto al passato. La crisi iniziata nel 2007 ha però lasciato un segno indelebile su tutta l’infrastruttura finanziaria del Paese cambiandone i dati strutturali. 



La crisi finanziaria ha impattato sui bilanci belle banche non solo per il peso delle sofferenze prodotte da un consistente numero di imprese che sono uscite dal mercato, ma anche per l’arretratezza imprenditoriale di buona parte del sistema banche, tanto che oggi la mappa dei presidi bancari nel Paese in conseguenza di salvataggi di banche in crisi assorbite da altre più grandi si è fortemente ridimensionata. È illuminante da questo punto di vista l’intervista rilasciata all’inizio dell’anno dal Vicedirettore di Banca d’Italia Panetta che ha posto alcune realistiche osservazioni. “Entro dieci anni le banche saranno diverse… andrà a finire che gli istituti di credito più innovativi e avanzati compreranno le società di Fintech o che le Fintech compreranno loro… Le banche devono migliorare il ricorso all’innovazione rispetto al passato… Nel mondo che ci aspetta la concorrenza sarà una sfida continua agli intermediari tradizionali da parte di operatori più agili e con costi minori… Se Amazon richiedesse una licenza bancaria? Amazon ha una reputazione, è una potenza finanziaria, offre garanzie di tenuta, ha competenze tecniche e l’ipotesi che faccia riciclaggio mi pare per lo meno remota. Con tutti i requisiti sarebbe un atto dovuto”. 



In questi ultimi anni il sistema banche è stato in larga parte tenuto in piedi dallo Stato attraverso il ruolo del Fondo Centrale di Garanzia. Nel passato, il Fondo era soprattutto utilizzato dai Confidi per l’assistenza alle piccole imprese, con gli anni della crisi il ruolo di questo ente è stato strutturalmente ridisegnato durante il governo Monti con un crescente utilizzo diretto da parte delle banche a copertura di una quota significativa dei propri rischi che per l’80% sono stati trasferiti sullo Stato. Nel contempo si assiste a un cambiamento strutturale nel posizionamento delle banche sul mercato in quanto i dati di Banca d’Italia di fine 2017 mostrano chiaramente che mentre le medio grandi imprese sono tornate a essere assistite dal sistema creditizio, le micro/piccole imprese registrano ancora cali significativi nella concessione dei crediti a prescindere dal rating in quanto anche nel caso di rating eccellenti le imprese non riescono ad accedere adeguatamente al credito. 




Ciò significa che stiamo assistendo a un cambiamento strutturale nel posizionamento delle banche sul mercato che o hanno scelto strategicamente oppure non sono in grado di lavorare con il target delle micro/piccole aziende. Da un certo vista la scelta appare paradossale, in quanto la marginalità garantita dallo spread su questo segmento di imprese è particolarmente elevata, mentre è molto bassa sul target delle imprese medio/grandi che anche nel mese di gennaio 2018 sono state investite da proposte di affidamenti a tassi ridicoli da parte delle banche che stanno tentando di piazzare gli ultimi stock del Quantitative easing della Bce che presta alle banche fondi al tasso negativo dello 0,4% con l’obiettivo di creare credito aggiuntivo alle imprese. 

Questa scelta di posizionamento da parte delle banche sul mercato, nonché l’utilizzo diretto da parte delle banche del Fondo Centrale di Garanzia, hanno aggravato la crisi di una parte del mondo Confidi che tradizionalmente assisteva questo segmento delle micro e piccole imprese e che può essere il partner naturale per poter lavorare con profitto su questo segmento di mercato. Rimangono non del tutto comprensibili nella loro ragionevolezza le scelte politiche che hanno portato a creare un binario preferenziale di accesso delle banche al Fondo Centrale di Garanzia e anche la riforma in corso, pur se migliorativa, non colma le convenienze di un accesso diretto delle banche rispetto all’utilizzo dei confidi. Non sono inoltre ragionevoli le politiche di maggior parte delle Regioni nei confronti dei confidi che nei decenni scorsi hanno adottato una logica consociativa sperperando consistenti fondi pubblici in elargizioni fatte senza alcun controllo di qualità e costituendo così un grande freno al rinnovamento di una parte consistente del sistema del confidi che godeva comunque del “paracadute pubblico”. 

La crisi ha portato ad abbandonare queste politiche regionali consociative per passare al perseguimento delle politiche degli accentramenti dimensionali che di fatto in vari casi divengono azioni di salvataggio di confidi decotti, non innescando premialità concesse sulle capacità di governance e andando avanti con la modalità degli “accordi politici” che coinvolgono le associazioni di riferimento e senza un definito piano industriale, con la inevitabile conseguenza di sperperare ancora risorse pubbliche in quanto la vitalità di una impresa la attesta il mercato e non le forzature della politica.

Il risultato di tutti questi processi è quello di andare a sguarnire la peculiarità del sistema Italia delle micro/piccole imprese della possibilità di un accesso al credito che costituisce una condizione fondamentale per lo sviluppo di tali imprese sia sotto il profilo dimensionale che riguardo alla partecipazione a quelli reti di filiera così fondamentali per la competitività del nostro sistema.