Il matto biondo di Washington non finisce di stupire il pianeta, e – alla prova dei fatti – si conferma periodicamente assai meno matto delle apparenze. Il senso strategico del “niet” che il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti – pare accogliendo appunto una forte moral suasion del presidente Donald Trump, e tramite il comitato per gli investimenti stranieri negli Usa – ha opposto al magnate cinese di Internet Jack Ma impedendogli di comprare Moneygram potrà essere di difficile decifrazione all’analisi dell’occhio liberista, ma non lo è per niente da un punto di vista tattico e “stra-americano”.
Per capire meglio bisogna sapere cos’è Moneygram. Stiamo parlando di una magnifica e capillare organizzazione planetaria che garantisce la circolazione del denaro in quasi tutte le valute mondiali (non solo quelle principali ma anche moltissime di quelle secondarie) fra tutti e cinque i continenti. È un fornitore di servizi essenziali per decine di milioni di migranti che soltanto grazie a Moneygram e a pochissimi gruppi concorrenti – il più celebre è Western Union – possono mandare a casa loro da qualunque parte del mondo le “rimesse” in denaro in nome delle quali emigrano, sacrificandosi per migliorare un po’ la vita dei loro cari. Senza Moneygram, l’unico modo per spedire quattrini è soggiacere all’intermediazione parassitaria e speculativa delle mafie locali, che per trasferire 100 dollari sono capaci di trattenersene anche la metà…
Questa esperienza nel trasferimento sicuro dei capitali è un asset strategico sì o no? Eccome se lo è. Tanto più nell’incipiente era del Fintech. E Trump chiaramente non vuole che la Cina, e tantomeno quell’assoluto mostro di bravura che è Jack Ma, dietro il quale si staglia tutto il potere del consenso politico del governo di Pechino, occupi spazi su questo mercato strategico. Trump ha capito che Jack Ma si mangia in un solo boccone per visione strategica, tecnologie e poliedricità, Zuckemberg, Bezos e Brin e Pages messi insieme. Oggi il “sistema Alibaba”, creato in quindici anni da Jack Ma, assomma in se stesso la potenza di fuoco di Amazon, ma moltiplicata per dieci, più la capillarità e la profondità di archivio di Google e più, ancora, la viralità di Facebook. Al di fuori degli immensi confini cinesi questa potenza è ancora poco percepita, ma ciò non la rende meno effettiva.
C’è da chiedersi, semmai, quanto impiegherà Jack Ma a farsi in casa un’altra Moneygram: ma qui la risposta non è scontata. Non impiegherà niente, probabilmente ce l’ha già, e funziona anche meglio. Quel che non ha sono i clienti, sono i mercati fuori dalla Cina, quel che gli manca è la reputazione, l’immagine dell’affidabilità. Vuole comprarsela acquisendo marchi già stimati e consolidati. Ma Trump dicendogli di no si è confermato protezionista fino al midollo, convinto che senza le spalle forti del potere politico quei quattro brufolosi pseudo-innovatori della Silicon Valley si faranno asfaltare senza nemmeno sussurrare un “bah!” dal magnate cinese e mettendo a repentaglio l’indipendenza economica, e con essa gli interessi, degli americani. Ha torto? Ha ragione? Si vedrà.
Ma fa bene a opporsi, comunque, a quella che sembra un’inevitabile evoluzione dei tempi? Nemmeno questo si può affermare seccamente, perché alla lunga la forza di Alibaba finirà col prevalere sui veti politici, che oltretutto potrebbero anche essere revocati (Trump non è eterno!). Ma, appunto, “alla lunga”: e Trump ragiona alla breve. La sua sfida politica, che già alla fine di quest’anno con le elezioni di metà mandato affronterà la prova del nove, misura il suo successo soltanto sulla soddisfazione del suo elettorato, che dal respingimento dei “musi gialli” di Internet non potrà che trarre compiacimento. E il futuro? È in grembo a Giove.
Sbaglia chi confronta la decisione di oggi con l’enfasi positiva usata un anno fa da Trump all’indirizzo di Jack Ma: l’aveva definito “un grande imprenditore” perché lo considera sinceramente tale, ma proprio perché lo stima lo teme, e non s’è fatto sedurre dalla promessa del cinese di creare “un milione di posti di lavoro” negli Stati Uniti. “Timeo Danaos et dona ferentes”, temo i greci anche se offrono doni, come disse Laocoonte ai troiani per tentare di dissuaderli dal trascinare entro le mura il regalo avvelenato del cavallo di Ulisse. Solo pochi mesi fa la Casa Bianca aveva bocciato il takeover da 1,3 miliardi di dollari per la cessione di Lattice Semiconductor alla Canyon Bridge Capital Partners, finanziata dal governo di Pechino, sempre con l’obiettivo di proteggere le società tecnologiche dallo shopping cinese considerandole come asset strategici nazionali. La linea politica è quella, meglio prenderne atto e – per ora – girare alla larga.