Il balzello sui sacchetti di plastica per la frutta rispetta alla lettera la semantica già indicata dalla Crusca. La definizione classica di “balzello” è legata al colpire di rimbalzo il malcapitato con un intervento inatteso. Si tratta ovviamente di soldi da pagare. Trattasi, in soldoni (appunto…) di agguato a mezzo di ragioneria generale di quello Stato semifallito, e sistematico nemico della nostra libertà, che ci ritroviamo tra capo e collo. 



La storia è lunga, naturalmente, perché riguarda, come sempre, l’ennesima disposizione europea di chiara matrice ideologica. C’è di mezzo un bias, una propensione che stavolta si chiama “biodegradabile”. Muta l’oggetto del pre-giudizio, ma il pre-giudizio diventa sempre un giudizio. E giudizi di questa natura pesano sui conti delle famiglie. Niente di nuovo sotto il sole.



C’è poi l’angolazione più tribal-politica, della politique politicienne, legata agli amici degli amici, che riempiono le tasche con provvedimenti di questo genere, ma, contrariamente al popolo che oggi urla (e ieri acclamava), io schivo di slancio queste diatribe. Sono il segno dell’assenza di un linguaggio politico, cartina di tornasole dell’assenza della politica tout court.

Mi preme invece sottolineare due aspetti della questione. Primo: l’eurocrazja è anti-leninista in un certo senso, perché per il rivoluzionario di professione l’estremismo è la malattia infantile del comunismo, mentre per Bruxelles è la routine e la policy in stato effettivo permanente. La vessazione e il controllo come armi di disgregazione sociale di massa sono, di fatto, un approccio estremista e sovversivo, secondo l’idea-forza dell’espansione a macchia d’olio di un’antropia, buona soltanto a essere manipolata dall’eurocrazja al potere. Il balzello ha la stessa origine del taglieggiamento sistematico con preliminare giustificazione “buona”: bio-degradare è l’ultima thule del mondo dei “buoni”. In realtà, è l’espressione del “potere dei più buoni”, di gaberiana memoria. Estremismo istituzionale e istituzionalizzato con il piede sull’acceleratore della fiscalità violenta di regime: oltre Luigi XIV, senza un Mazzarino a corte, piccolo particolare.



Secondo: nella seconda metà del XVIII secolo, in età pre-rivoluzionaria, in Francia, a due passi dal cuore della centrale del potere burocratico-eurocratico, dominava una sorta di collettivo ideologico, i Fisiocratici, i quali avevano belle teste fra di loro, Quesnay, in economia, e Mercier de la Rivière nel diritto e nella politica. Quest’ultimo inventò una categoria che fece impazzire anche Caterina II di Russia, la quale invitò il geniale politologo francese a corte e fece dell’idea di un dispotismo “legale” o “illuminato” il suo must culturale e strategico. Bene, non si tratta di archeologia del potere europeo, ma di un fiume carsico politico-ideologico che riattraversa costantemente la burocrazia dell’Ue: il dispotismo è “legale” ogni volta che mette una gabella e la giustifica ideologicamente. Tradotto: controlla i corpi, le vite, la borsa dei cittadini, dunque “dispone” di loro, e questo è il fulcro di ogni “dispotismo”, ma lo fa con il bias, la propensione che segue il circuito culturale e comunicativo postmoderno. Dai cambiamenti climatici al biodegradabile il filone continuo del nichilismo ideologico-dispotico non cessa di autoalimentarsi, nel deserto delle società europee, con l’Italia in testa, e in fila alla cassa i vecchi del secolo che ci sta alle spalle a pagare per tutti.

Il comunismo è finito, l’eurocrazja perdura: non è vero possa tornare indietro la Guerra fredda, con una di matrice 2.0, o amenità di simil tenore. Il punto è che, disgraziatamente, non abbiamo più quella gloriosa, drammatica e mobilitante Guerra fredda, e diventiamo, anno dopo anno, il deserto di ghiaccio dominato da un dispotismo legale senza più padri e dunque senza più storia.