Nella consueta conferenza stampa di fine anno, il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha auspicato che si possa pervenire a una rapida chiusura della trattativa su Alitalia. Queste sono state le sue parole, riportate dalle agenzie di stampa: “Mi auguro che si possa arrivare rapidamente a una soluzione per Alitalia e che le offerte che sono sul tavolo possano essere anche migliorate. Per certi versi è necessario (…) Avevamo fatto un lavoro molto faticoso per il nuovo piano industriale e per avere nuovi investimenti da parte dei soci di Alitalia. Quella soluzione che a mio avviso era positiva è stata bocciata dai dipendenti con il referendum, è stata una cosa rispettabile ma sbagliata”. Ha inoltre ricordato di aver “già fatto parte di un Governo, il Prodi II, che nell’ultima riunione del Consiglio dei ministri, a Camere sciolte da molto tempo, aveva all’ordine del giorno un prestito ponte per Alitalia perché la soluzione che il bravissimo ministro Padoa Schioppa aveva immaginato con Air France era stata ostacolata da un combinato disposto dell’opposizione di allora e delle organizzazioni sindacali. Se avessimo sul tavolo oggi l’offerta di Air France la prenderemmo al volo. Mi auguro quindi che ci sia senso di responsabilità”.
Mi ricordo molto bene di quel periodo, perché avevo appena fatto parte di una commissione di studio ministeriale, conclusasi con la crisi di governo, che aveva per oggetto la liberalizzazione del mercato postale e la riorganizzazione di Poste Italiane (allora Paolo Gentiloni era ministro delle Poste e Telecomunicazioni), e la nuova crisi di Alitalia mi aveva riportato al tema del trasporto aereo e della compagnia di bandiera di cui mi ero già occupato durante la precedente crisi nel 2004. L’offerta di Air France, che salvava Alitalia e i suoi dipendenti nella loro quasi totalità, era irrinunciabile e l’inedita alleanza tra la generalità dei sindacati e il centrodestra politico che la boicottò si rivelò di una grave miopia, dimostrando di preferire un incerto e improbabile uovo domani, quello che avrebbero dovuto covare i “capitani coraggiosi”, alla certezza della gallina francese subito.
Nel 2008, immediatamente dopo la grande vittoria elettorale, il nuovo governo di centrodestra mise in piedi una cordata di imprenditori di Stato per evitare che Alitalia finisse nelle mani di Air France-Klm e i turisti internazionali che desideravano visitare il Colosseo e San Pietro venissero dirottati al Louvre e alla Torre Eiffel. Quella scelta ci è costata molto cara, circa sette miliardi di euro, tra perdite residue dell’Alitalia pubblica (2,1 miliardi), prevalentemente dovute alla perdita di valore degli asset di un’azienda venduta a pezzi, costi della generosa cassa integrazione settennale (altri 1,9 miliardi) e minori introiti fiscali provenienti da una nuova Alitalia quasi dimezzata (oltre 3 miliardi). Inoltre, andarono persi circa nove mila posti di lavoro, includendovi i dipendenti a tempo determinato che all’epoca non ebbero neppure il riguardo di essere inclusi nel conteggio, e da un giorno all’altro furono regalati ai vettori low cost quattordici milioni di passeggeri che la nuova Alitalia ridimensionata non era più in grado di trasportare.
Il fatto che quella scelta abbia rappresentato un grave errore non implica tuttavia che quella ora perseguita, di segno opposto, sia corretta. Vendere oggi a Lufthansa non è infatti come vendere dieci anni fa ad Air France-Klm e Gentiloni ne è consapevole quando afferma “Se avessimo sul tavolo oggi l’offerta di Air France la prenderemmo al volo”. Infatti, Air France avrebbe acquistato un’Alitalia quasi integra, senza toccare AirOne, né il grado di concorrenza allora esistente sui cieli italiani e che i “capitani coraggiosi” restrinsero considerevolmente. Nel 2008 il gruppo Alitalia e AirOne, dai quali l’Alitalia attuale ha tratto origine, avevano una flotta complessiva di 240 aerei, mentre l’Alitalia attuale sta volando con 118 e Lufthansa ne prenderebbe nella migliore ipotesi un’ottantina, sostanzialmente per farne un vettore regionale principalmente al servizio dei suoi già numerosi hub, Francoforte, Monaco e Zurigo, tutti collocati a poche centinaia di chilometri dai confini italiani. Certo rimarrebbe l’hub Alitalia di Fiumicino, ma con quanti aerei di lungo raggio restanti? E quanti dipendenti resterebbero degli attuali 11 mila? E quanto costerebbe il sostegno pubblico a chi non avrebbe posto in Deutsche Alitalia? Non dimentichiamo che nel 1973, quando il mercato del trasporto aereo era un decimo di quello attuale, Alitalia aveva una flotta di lungo raggio di 29 aerei, quattro in più degli attuali, e quasi 15 mila dipendenti. Ma visto che Lufthansa sembra essere il destino di Alitalia credo sia utile conoscere di più del vettore tedesco e cercare di capire quale sia il segreto del suo successo.
Intanto sino a quasi tutti gli anni ‘60 Alitalia era non solo molto più prestigiosa di Lufthansa, ma anche più grande, dato che trasportava più passeggeri e impiegava più personale. I due vettori erano rispettivamente il terzo e il quarto in Europa, alle spalle di British ed Air France. Solo nei primi anni ‘70 avvenne il sorpasso di Lufthansa grazie a una maggiore crescita della flotta. Da allora non è trascorso neanche mezzo secolo, ma Lufthansa è divenuto il primo gruppo europeo e potrebbe aver raggiunto nel 2017 i 130 milioni di passeggeri trasportati. Il gruppo tedesco ha realizzato nel 2016 ricavi pari a oltre dieci volte quelli di Alitalia, fatturando 32 miliardi di euro all’anno contro solo tre, e dà lavoro a 124 mila persone, di cui 68 mila in Germania e 56 mila nell’insieme degli altri numerosi paesi in cui opera, contro meno di 12 mila per Alitalia. Inoltre, mentre molti dei 12 mila di Alitalia sono a rischio a causa della crisi aziendale, solo nello scorso anno il gruppo Lufthansa ha accresciuto il suo personale di 4 mila unità, corrispondenti a oltre un terzo di tutto il personale di Alitalia.
Il Grafico 1 illustra il fatturato delle diverse aziende del gruppo Lufthansa nel 2016, non includendo 1,3 miliardi di Brussels Airlines, azienda la cui piena proprietà è stata acquisita solo nel 2016 e che verrà consolidata a partire dal 2017.
Grafico 1 – Fatturato 2016 delle aziende del gruppo Lufthansa (miliardi di euro)
Fonte: Lufthansa Annual Report 2016.
Qualche numero ulteriore per rimarcare le dimensioni economiche del gruppo tedesco: Lufthansa Technik fattura oltre 5 miliardi all’anno, di cui più di due terzi per servizi di manutenzione e riparazione resi a compagnie esterne al gruppo, mentre nel catering il gruppo fattura più dell’intera Alitalia, 3,2 miliardi, di cui l’80% per servizi resi a vettori extra gruppo. Nell’ultimo esercizio il gruppo Lufthansa ha realizzato un risultato industriale di 2,3 miliardi, corrispondenti a oltre i due terzi dell’intero fatturato di Alitalia, e profitti netti per 1,8 miliardi, pari a oltre metà del fatturato di Alitalia. La lunga strada percorsa da Lufthansa nell’ultimo mezzo secolo è ben evidente ed essa getta una luce particolare su quella assai meno felice di Alitalia.
Di chi è il merito nel primo caso e la colpa nel secondo? Ovviamente della qualità della gestione aziendale ma, in vettori in origine a controllo pubblico e in seguito comunque fortemente condizionati dalle scelte pubbliche, il merito e la colpa sembrano dipendere principalmente dalla differente qualità dei governi che si sono succeduti nei due paesi e dalla differente bontà delle scelte da essi adottate.
Quale ruolo e peso assumerebbe Alitalia una volta acquisita dal gruppo Lufthansa? Difficile dirlo con esattezza, dato che è prevedibile che solo una parte più o meno ridotta dell’attuale azienda verrebbe inglobata. Si possono tuttavia comparare le dimensioni di Alitalia 2016 con quelle delle diverse aziende aviatorie del gruppo nello stesso anno. Ad esempio, come numero di passeggeri trasportati Alitalia con 23 milioni sarebbe la seconda, dopo i 62 della capogruppo tedesca (Grafico 2); invece come fatturato, stimando 3,1 miliardi per Alitalia in assenza del bilancio ufficiale, la compagnia italiana sarebbe terza, dopo i 15,4 miliardi della capogruppo e i 4,5 di Swiss. La stessa posizione in graduatoria si ottiene se si considerano i posti km offerti oppure i passeggeri km trasportati (Grafico 3), anche in questo caso stimando i dati di Alitalia.
Grafico 2 – Passeggeri trasportati nel 2016 (milioni)
Fonte: Lufthansa Annual Report 2016 ed Enac, Dati di traffico 2016.
Grafico 3 – Posti km offerti e passeggeri km trasportati nel 2016 (miliardi)
Fonte: Lufthansa Annual Report 2016 e stime Alitalia in base a percorrenze medie passeggeri.
I numeri sinora esaminati evidenziano la grande forza del gruppo tedesco, rappresentata dalle sue dimensioni che emergono con qualsiasi variabile si utilizzi per rappresentarle. Tuttavia non abbiamo ancora considerato la capacità del gruppo di offrire posti a costi contenuti e competitivi. La disponibilità di conti economici specifici e di dati industriali dettagliati per ogni vettore del gruppo Lufthansa permette questa analisi. Tuttavia nel caso di Alitalia non è stato pubblicato il conto economico del 2016 e pertanto il confronto deve essere per ora necessariamente limitato all’esercizio 2015. Il Grafico 4 riporta pertanto, per Alitalia come per ogni vettore del gruppo tedesco, il costo industriale dell’offrire un posto per un volo di mille km in raffronto ai relativi ricavi.
Grafico 4 – Costi e ricavi industriali per posto offerto per mille km di volo nel 2015 (euro)
Fonte: elaborazioni su dati Lufthansa Annual Report 2015e 2016; Alitalia Relaz. Annuale 2015.
I dati del Grafico 4 sono sorprendenti e inattesi, dato che Alitalia emerge come il vettore con la miglior efficienza costo. L’offerta di un posto a bordo per un volo di mille km ha infatti generato nel 2015 in Alitalia costi industriali, desunti dal bilancio consolidato, per 72 euro, contro valori nei vettori del gruppo Lufthansa che vanno da un minimo di 77 euro per Brussels Airlines, peraltro non ancora consolidata nel gruppo in quell’anno, sino a un massimo di 88 euro in Austrian, e con la capogruppo Lufthansa che si colloca sul valore intermedio di 84 euro. Se mettiamo assieme tutti i vettori del gruppo Lufthansa otteniamo un costo industriale medio di 84 euro a fronte del quale sono stati conseguiti ricavi industriali per 89 euro, con una forbice positiva di 5 euro. Nel caso Alitalia, invece, il costo unitario è risultato inferiore di 12 euro, ma il ricavo unitario più basso di ben 20 euro, con una forbice negativa tra ricavi e costi industriali. Possiamo allora sostenere con certezza che il segreto del successo di Lufthansa non consiste nella sua capacità di offrire posti a bordo a costi contenuti e competitivi, bensì in quella di conseguire ricavi maggiori dei suoi costi, non essendo peraltro questi ultimi così contenuti come ci saremmo potuti aspettare.
Da cosa dipende la capacità di Lufthansa di conseguire 20 euro in più di Alitalia per ogni posto offerto per un volo di mille km? Di certo i viaggiatori tedeschi clienti di Lufthansa hanno un potere d’acquisto decisamente più elevato rispetto ai clienti italiani di Alitalia. Inoltre, potrebbero essere anche più patriottici e meno propensi in conseguenza ad abbandonare il loro vettore di bandiera per compagnie low cost straniere in grado di far pagar loro di meno, ma questo non siamo in grado di dimostrarlo. Un fatto certo è invece il diverso grado di concorrenza tra i due mercati. In Italia è stimabile che nel 2017 la quota di mercato di Alitalia, calcolata sul numero dei passeggeri, sia scesa sotto il 16%, con Ryanair sopra il 25% e il totale dei vettori low cost sopra il 50%. E in Germania? Nel primo semestre 2017 hanno viaggiato con vettori low cost 27 milioni di passeggeri su 110 milioni totali, pertanto la quota di mercato dei low cost non raggiunge il 25%. Inoltre, dopo il fallimento di Air Berlin il 52% del mercato low cost, misurato come voli offerti, è direttamento detenuto dal gruppo Lufthansa attraverso Eurowings e Germanwings, mentre Ryanair è al 21% e Easyjet al 12%. Assieme i due principali vettori low cost europei arrivano a un terzo del mercato low cost tedesco, ma non raggiungono il 9% del mercato tedesco totale contro più del 35% in quello italiano.
In Germania la posizione dominante del gruppo Lufthansa si è notevolmente rafforzata con l’acquisizione della fallita Air Berlin, come si può dimostrare osservando i voli totali programmati in partenza dagli aeroporti tedeschi nel mese di dicembre 2017: Lufthansa ha programmato nel mese 24.394 decolli, Eurowings 9.697, Austrian 1.276 e Swiss 1.123 per un totale di gruppo di 36.490 decolli (Fonte: Institut für Flughafenwesen und Luftverkehr, Global Aviation Monitor). Il vettore più grande non appartenente al gruppo Lufthansa è Ryanair e in dicembre ha programmato dalla Germania appena 3.811 voli, in un rapporto di 1 a 10 col gruppo di bandiera. Il segreto del successo di Lufthansa è pertanto chiaro: la posizione dominante sul suo mercato. Se nel 2015 Alitalia avesse potuto, godendo dello stesso vantaggio di mercato, vendere i suoi posti agli stessi prezzi di Lufthansa non avrebbe chiuso l’esercizio in perdita bensì con eccezionali profitti, tali da oscurare in redditività persino Ryanair.
Se andrà in porto la cessione di Alitalia a Lufthansa non si tratterà pertanto della vendita di un vettore poco efficiente a uno molto più efficiente, bensì della cessione di una compagnia messa in crisi dall’elevata concorrenza sul suo mercato in favore di un resistente quasi monopolista sul suo mercato.