L’annuncio di un virtuale livello di piena occupazione in Germania suggerisce qualche riflessione: anche nelle cifre apparentemente più scontate. Un tasso di disoccupazione al 5,5% a fine 2017 (dal 6,1% di un anno prima, il più basso dalla riunificazione) fa certamente rima con un tasso di crescita del Pil del 2,3% (leggermente più delle attese e della media Ue). Il ritmo sostenuto del ciclo risente di tutte le componenti: all’export (in boom già da alcuni anni, nonostante la relativa forza dell’euro) si è aggiunta la spinta dei consumi interni, storicamente contenuti in Germania. Ora i tassi d’interesse a zero – garantiti dalla politica monetaria accomodante della Bce – stimolano i lavoratori tedeschi a indebitarsi per consumare, laddove i salari reali aumentano con gradualità e nessuno teme per la stabilità dei suoi redditi. Non solo, anzi, gli occupati hanno raggiunto il record storico di 44,3 milioni  (+638mila posti, +1,5% annuale): l’Ufficio Federale del Lavoro ha segnalato anche l’esistenza di 760mila posizioni aperte, la cui copertura potrebbe proiettare l’occupazione tedesca oltre quota 45 milioni a fine 2018.



Fin qui le cifre, che scontate non lo sono mai anche quando sono correlate fra loro. Vale certamente la pena di notare l’ipocrisia del “no” puntuale e insistito della Bundesbank al Quantitative easing voluto dalla Bce di Mario Draghi per favorire la ripresa non solo nei Paesi deboli dell’eurozona. È pur vero che il Paese-locomotiva sembra avere approfittato appieno della sua appartenenza all’eurozona, meglio di altri, come l’Italia (basti pensare al taglio del debito). Anche questo può sembrare banale, ma non lo è: gli incentivi – anche a livello macro, sovrannazionale – premiano anzitutto chi li vuole e li sa utilizzare.



Il grosso della nuova occupazione tedesca è stato assorbito dal terziario pubblico e privato: Pa (100mila posti addizionali), educazione e sanità (200mila posti in più), servizi avanzati alle imprese (146mila) e collegati al turismo (111mila). Le direzioni dello sviluppo per un grande Paese europeo sono queste, anche se a diverse latitudini possono corrispondere diverse declinazioni. Ma è chiaro che il lavoro c’è – ce n’è molto, sempre di più – per chi possiede competenze sempre più specialistiche e aggiornate, per chi è preparato “ai lavori che ancora non ci sono”. Non è un caso che anche in questa Germania resista uno zoccolo relativamente incomprimibile di un milione di disoccupati a lungo termine: non è difficile scorgervi residue sacche di esclusi dalla riunificazione assai più che folle di giovani neet.



D’altro canto – ed è forse la sottolineatura più forte della nota De-Statistik di Capodanno – il boom dell’occupazione è stato alimentato sia dai tedeschi sia dagli immigrati, “i quali hanno compensato gli effetti demografici negativi”. È stata la Bundesbank a stimare, recentemente, che la popolazione tedesca in età lavorativa (15-74 anni) tenderà a diminuire ancora: di 2,5 milioni entro il 2025. La scommessa di Angela Merkel sull’accoglienza dei rifugiati siriani nel 2015, sembra aver dunque funzionato sul piano economico. Sul piano politico la cancelliera è stata invece punita alle ultime elezioni e non sembra fuori luogo guardare all’interfaccia sociale del trend occupazionale.

Al di là degli aspetti squisitamente socioculturali dei processi di integrazione, “l’esercito di riserva” che l’Azienda Germania ha potuto arruolare, ha contribuito a moderare la crescita salariale, con il favore di un’inflazione virtualmente nulla. È così che in Germania un occupato su dieci si ritrova al di sotto di due soglie statistiche mobili: gli 869 euro al mese per il lavoratore singolo (retribuzione media diminuita del 60%) e 1826 euro al mese per una famiglia con due figli al di sotto dei 14 anni. Costoro non sono immediatamente avvicinabili al 40% di giovani disoccupati italiani che alimentano il voto populista a sud delle Alpi, ma è probabile che l’esito elettorale così complesso in Germania risenta anche di questo specifico disagio: la concorrenza percepita dai lavoratori tedeschi a basso reddito per l’oggi e per il domani, quando i loro figli rischiano di trovare lavoro a reddito ancora più basso se non potranno investire sulla propria education. Anche una ripresa robusta e job-full può dare i suoi problemi al governo che l’ha promossa, dentro e fuori la Germania.