I dati continuano a mostrare una ripresa dinamica in Italia – il Pil 2017 potrebbe migliorare dal 1,5% previsto allo 1,7% – e un boom economico globale. Proprio per questo, senza voler limitare un motivato ottimismo per il futuro, va segnalato il ritorno di un rischio sistemico che negli ultimi anni era sparito: l’inflazione. I rilevamenti più recenti la danno in crescita in America e nell’Eurozona per la combinazione tra riduzione della disoccupazione ai minimi – solo l’Italia tra le grandi economie ha una disoccupazione ancora oltre il 10% – con conseguente tendenza al rialzo sia dei salari, sia dei consumi e incremento dei prezzi dell’energia.
Fino a pochi mesi fa gli scenari stimavano che l’eccesso di offerta, e di scorte, di petrolio e gas ne avrebbero limitato il rialzo del prezzo. Ma il cartello dei produttori Opec e la Russia hanno ridotto l’offerta per dare tono ai prezzi e riparare i bilanci nazionali. Il boom economico globale e il freddo in America, inoltre, hanno portato a un esaurimento delle scorte più rapido del previsto. In sintesi, l’inflazione energetica, che ha un effetto diffuso su tutti i prezzi, sta irrompendo a sorpresa sulle previsioni 2018-19, invertendo la definizione del rischio principale: dalla deflazione all’inflazione.
Questa nell’Eurozona già tende a oltre l’1,5% e potrebbe arrivare nel 2018 al 2%, soglia che farebbe interrompere la politica monetaria anti-deflazione della Bce, cioè terminare l’acquisto di eurodebiti e il periodo di costo del denaro a zero. Mentre le altre economie dell’Eurozona mostrano una ripresa consolidata, quella italiana è ancora in riparazione, bisognosa di stimolo monetario e di garanzia esterna sul proprio debito da parte della Bce. Pertanto, una dinamica dell’inflazione che portasse la Bce – diversamente da quanto annunciato da Draghi – a una fine anticipata dei programmi straordinari di reflazione metterebbe l’Italia in difficoltà.
Se il mercato scontasse un futuro aumento dei tassi, il rifinanziamento del debito pubblico costerebbe molto di più al bilancio statale, togliendo risorse ad altri impieghi, e tornerebbero i dubbi sulla sostenibilità del debito stesso. Questo è un grave rischio di interruzione della ripresa, proiettabile nel 2019, ma con effetti già nel 2018. Per minimizzarlo, la politica dovrebbe convincere ora il mercato che metterà in priorità la riduzione del debito sia contenendo il deficit annuo, sia preparando operazioni patrimonio pubblico contro debito stesso. Al momento ciò non sta avvenendo ed è motivo di allarme.