Dopo una delle peggiori giornate borsistiche degli ultimi anni, mercoledì, la discesa del mercato americano è continuata ieri fallendo anche un rimbalzo simbolico. A niente sono valse le minacce di Trump contro la Fed e la sua politica di rialzo dei tassi. Di certo a Trump non può fare piacere la bruttissima piega che sta prendendo il mercato americano a un mese dalle elezioni del mid-term che potrebbero segnare una svolta; perdere la maggioranza alla camera potrebbe rendere attuabile la minaccia evocata più volte dai democratici di un impeachment. I pretesti sono numerosi e se non ci sono, non è il caso di scandalizzarsi, se ne può sempre tirare fuori uno. Sul “crollo” delle borse americane ci sarebbe molto da dire. Sottolineiamo alcuni punti.
La performance borsistica dei principali indici americani negli ultimi anni è stata irreale. I rialzi sono continuati trimestre dopo trimestre, senza sosta e senza pause, con rialzi da capogiro. Per “normalizzare” la situazione c’è ancora moltissimo spazio, all’ingiù, e se l’obiettivo è sgonfiare la bolla l’unica questione che rimane è quanto sarà graduale o violento il ridimensionamento. La borsa americana da almeno un anno è un’isola felice in un oceano di performance che oscillano tra l’orribile e il deludente con i problemi degli “emergenti” e quelli di un’Europa colpita dai dazi e dalle frizioni interne. Oltretutto, se l’obiettivo è sgonfiare la bolla, con tutte le conseguenze desiderate o meno che ciò comporta, ci possiamo attendere che la Fed faccia esattamente quello che ha fatto nelle ultime settimane e cioè tiri dritto per evitare di perdere qualsiasi credibilità.
Il colpevole di questa bolla non è Trump, che di certo non ha fatto nulla per fermarla, ma le politiche adottate dopo la crisi di Lehman con le banche centrali, a partire dalla Fed, che hanno stampato moneta a tutto spiano pompando liquidità sui mercati. Segnaliamo due conseguenze.
La prima segnalata spesso da Janet Yellen nella parte finale del suo mandato è stata l’incremento vertiginoso dell’ineguaglianza perché i guadagni di borsa premiavano molto più che proporzionalmente i “ricchi” e allo stesso tempo si traducevano in un’inflazione “cattiva” con il rialzo, per esempio, degli affitti. L’elezione di Trump è l’espressione di un malcontento sotterraneo di chi si è sentito tradito e che di certo non era rappresentato dai media mainstream. La seconda è stata l’esplosione dei debiti pubblici. La costante degli ultimi dieci anni è proprio l’esplosione dei debiti pubblici che ha interessato tutte le principali economie globali e in misura molto rilevante: dagli Stati Uniti, all’Inghilterra, dal Giappone alla Francia, passando per la Cina tutto il mondo ha salvato i propri sistemi produttivi stampando moneta ed emettendo debito a tassi schiantati. L’austerity è stata un’invenzione tutta europea fatta ingoiare a un manipolo di pochi Paesi per scopi meramente politici; oltretutto, sempre grazie all’euro, con immediati effetti benefici, sul debito, per chi la controllava.
La differenza tra “noi” e gli altri è che gli altri hanno un sacco di debito ma il sistema produttivo più o meno in salute, mentre noi un sacco di debito ma il sistema economico sfasciato. L’unica eccezione alla diffusa esplosione dei debiti è la Germania e solo per il meccanismo perverso dell’euro che le ha permesso di emettere a tassi negativi senza rivalutare il cambio. La Svizzera, che l’euro non ce l’ha, per evitare la rivalutazione del cambio ha dovuto emetter moneta senza sosta comprando azioni e obbligazioni estere.
Oggi quei debiti sono tutti insostenibili. Tutti nessuno escluso. In termini di ricchezza finanziaria la scassatissima italia è ancora ai primi posti. Questo per dire che non solo i debiti statali sono fuori scala, ma che anche quelli privati in moltissime economie sono elevati. Nessuna austerity, nessuna disciplina fiscale potrà mai curare le scorie prodotte dal collasso di Lehman e far rientrare i debiti fatti per porvi rimedio. Quale sia la strada per “ripagarli” non è noto; probabilmente la vecchissima ricetta dell’inflazione magari dopo che le banche centrali avranno annullato il debito statale che hanno in pancia (gli inglesi già danno il valore del debito al netto e al lordo di quello in pancia alla Bank of England). Quello che è noto è che affrontare il tema causerà scossoni violenti sui mercati finanziari e che si aprirà una fase di profonda frattura. Aggiungiamo che la tenuta di uno Stato e la sua capacità di fare sistema e gestire questa fase sarà fondamentale.
Dato che i debiti sono tutti insostenibili, soprattutto alla prova di un’altra recessione, quello che conta è la solidità del “sistema Paese” e la sua sovranità sostanziale.