E così, nonostante i vari proclami, che fine farà l’Alitalia rimane un mezzo mistero. C’è da sperare che i lavori per definire l’assetto della nostra ex-compagnia di bandiera inizino quanto prima, anche se alcune decisioni cominciano a essere chiare, come la nomina di due dei tre commissari (Paleari e Gubitosi) nella gestione della compagnia che ricalcherà un leit-motiv già conosciuto in questi anni: il fallimento dell’attuale società con la creazione di una ex-novo in cui entreranno nuovi soci ancora da definire, ma che certamente avrà una maggioranza italiana.
Ancora resta aperto il fronte della partecipazione di Fs e pare ormai sicuro che, seppur in forma defilata, la Boeing entrerà in Alitalia: purtroppo siamo ancora nel campo delle ipotesi, ma cerchiamo di capire come può essere ricostruita la nuova compagnia.
La cosa certa è che si dovrà operare in vari settori contemporaneamente, visto che la privatizzazione targata Cai ha fatto terra bruciata un po’ di tutto, facendo dipendere Alitalia quasi esclusivamente da fornitori esterni di servizi, una decisione irresponsabile e degna soprattutto di una gestione che con il know how del settore aveva ben poco a che fare, visti gli “eclatanti” risultati ottenuti, specie con il licenziamento di gran parte dei dipendenti procedendo per anzianità proprio in un settore nel quale l’esperienza si dimostra spesso l’arma vincente. Basti pensare a quanto successo con la manutenzione, settore fiore all’occhiello di AZ, che però è stata distrutta e i suoi avveniristici hangar utilizzati come magazzini. Dopo le infauste esperienze con ditte esterne, si è capito come utilizzare le proprie risorse, specie se di altissimo livello quali erano, che costituiscono un risparmio notevole oltre che una garanzia.
Ma ricostruire interi settori, soprattutto in un campo ad altissima tecnologia come quello aeronautico, non si può fare nello spazio di un mattino, perché richiede almeno 4-5 anni, nei quali bisogna investire somme notevoli, non solo nell’acquisizione di personale specializzato, ma anche e sopratutto in continui corsi di formazione. Forse sarebbe il caso di richiamare proprio parte di quelle maestranze che anni addietro hanno lasciato o sono state licenziate da Alitalia e che si sono accasate in altre compagnie aeree: fatto accaduto principalmente nelle aree tecniche (piloti e manutenzione).
È ovvio che l’attuale principale problema di Alitalia risieda nell’esiguità della flotta intercontinentale, il che non permette all’azienda di espandersi e di operare nuove rotte e frequenze che gli possano consentire di aumentare i ricavi in un mercato, quello del lungo raggio, che pare essere refrattario al fenomeno low cost, visto che i vettori che ci operano non versano proprio in situazioni finanziarie positive. La posizione del nostro Paese, ponte d’accesso al Mediterraneo e all’Europa del Nord, è da sempre invidiabile, ma questo lo si sapeva dal 1998, quando vennero creati due hub come Fiumicino e Malpensa, anche se non fu possibile operare quel potenziamento obbligato di una flotta di appena una ventina di macchine intercontinentali che era insufficiente per coprire il traffico generato.
Ora la sfida si può riaprire, ma gli spazi bisogna conquistarseli, anche perché la concorrenza è spietata e il bacino del Mediterraneo sembra aver trovato il suo vettore di riferimento nella compagnia di bandiera turca Turkish Airlines.
Altro punto debole risiede nel fatto che nel corso degli anni, mentre in Italia si operava su Alitalia con mosse dilettantesche, il prezzo estremamente basso del petrolio favoriva con il vento in poppa l’ascesa di altri vettori più professionali: ora il barile sta superando i 100 dollari e questo renderà più caro lo sforzo che si farà per poter risorgere, rendendo sempre più mirate le strategie di un attacco che appare l’unica misura adatta allo scopo. Tanto più che diventa, a questo punto, obbligatorio creare un’Alitalia non solo legata a un oligopolio di sistema dei trasporti, ma anche e soprattutto a cui affidare l’importantissima funzione di ambasciatrice di un Paese che deve una volta per tutte uscire economicamente allo scoperto sfruttando le armi che ha e che sono trainanti in una filosofia di made in Italy che contribuirebbe non solo a sviluppare il settore turistico, ma anche a essere la porta d’entrata al nostro Paese.
Ricostruire quella che fu l’Alitalia compagnia di bandiera che tutti ricordiamo è possibile. Bisogna, però, che ci sia una ferrea volontà accompagnata anche da un diverso modo di concepire le maestranze: non più il “materiale umano” figlio dell’esperienza dei “capitani coraggiosi”, ma persone preparate, nel pieno rispetto delle loro funzioni e con un legame forte con l’azienda, al punto di poter ricostruire quella partecipazione azionaria dei dipendenti che nel 1998 venne proposta, ma che i sindacati di allora non capirono nel suo valore. Con un 23% dell’azienda nelle mani dei dipendenti, il futuro di Alitalia sarebbe stato senz’altro migliore.