Qualsiasi cosa succederà da qui in avanti, qualsiasi evento finanziario ci attenda o qualsiasi decisione prenda l’attuale Governo è sempre utile ricordare cosa sia successo in Europa negli ultimi dieci anni. Il giudizio rimane a prescindere da quello che accadrà. Ieri abbiamo letto le dichiarazioni di Draghi, del Fondo monetario internazionale e di Juncker. In questi stessi giorni, discettiamo, con maggiore o minore competenza del collasso finanziario prossimo venturo forse inevitabile perché bisogna “curare” la bolla del debito. Una bolla che si estende dalle Alpi alle Piramidi e dal Manzanarre al Reno al punto che nessuno escluso, anzi esclusa la Germania che si sfilerà dall’euro prima di pagare il conto con tempismo davvero levantino, potrà esimersi da una ristrutturazione più o meno evidente del suo debito.
Quindi ieri Draghi ci ha ricordato che chi ha debito deve seguire le regole europee. Vorremmo dipingere come si presentava la situazione al mondo alla fine del 2011. Il debito su Pil francese passava dal 68% del 2008 all’85% del 2011, quello inglese dal 35,4% al 71,4%, quello tedesco dal 65,1% al 78,7%, quello americano dal 67,7% al 96%, quello giapponese dal 192% al 232%. Tutti questi Paesi non hanno mai saputo cosa fosse l’austerity, tutti questi paesi hanno attinto al deficit a tutto spiano e nessuno ha rispettato le “regole dell’Unione europea”. In nessuno di questi Paesi c’è neanche lontanamente la stessa ricchezza privata che c’è per esempio in Italia. L’esempio delle regole europee massimo è la Grecia, un Paese che dal 2010 al 2011 quando in teoria grazie alla stabilità dell’euro avrebbe dovuto fare più o meno quello che facevano gli altri ha visto il proprio debito su Pil passare dal 146,2% al 172% con la complicità di qualche leggerissima svista del Fondo monetario internazionale che purtroppo inseriva dei moltiplicatori completamente sballati (ma è solo un problema di “miopia”).
Oggi la Grecia ha un’economia distrutta, un debito irripagabile, come quello della Germania dopo la guerra, e tutti gli asset di valore in mano tedesca. Fuori dall’euro almeno avrebbe tenuto gli asset di valore. Il Fondo monetario internazionale è lo stesso che ieri ci ricordava la responsabilità fiscale. Il disallineamento tra performance economica italiana e francese nel 2011-2012 è un evento unico negli ultimi 50 anni proprio quando l’Italia, che oltretutto è un Paese esportatore, faceva l’austerity.
Ieri Juncker dalle pagine di Le Monde, un quotidiano neutrale di un Paese che ha distribuito legion d’onore a una schiera di politici italiani (chissà come ringraziamento di cosa…) è lo stesso che nel 2016, fonte Reuters, spiegava che la Commissione europea aveva permesso alla Francia di non rispettare le regole fiscali così: “perché è la Francia”. La differenza tra l’Italia e la Francia del 2011 è solo e solamente nel differente peso politico che i due Paesi avevano in Europa. La colpa dell’Italia non è non aver fatto le riforme, che in Francia non si sa neanche cosa siano, ma quella di non aver mai saputo tutelare i propri interessi in Europa, di avere una classe politica che ha ricevuto legion d’onore a mazzi e che pur di combattere i nemici interni cedeva pezzi di sovranità sostanziale che chi conta in Europa non ha mai voluto cedere neanche per sbaglio. Che l’Italia non ha fatto quello che doveva fare non c’entra nulla con la punizione divina del 2012, perché nemmeno gli altri hanno fatto i compiti.
Ci dicono che l’euro ci garantisce stabilità. Siamo alla bislingua. Abbiamo tempeste finanziarie che distruggono l’economia per uno 0,2% di deficit in più, in un contesto di recessione globale e di debiti insostenibili e dovremmo trovare una spiegazione che non sia politica. Se la Francia fosse in questa situazione la Bce interverrebbe o meno? Macron per la cronaca non ci sembra uno statista che finirà sui libri di storia. Oggi la dinamica, tutta politica, è chiara: se voi italiani non fate l’austerity noi soffiamo sul fuoco dello spread e poi sono cavoli vostri. Ma di austerity si muore. L’austerity con i suoi effetti recessivi collassa le economie e fa esplodere i debiti e, causa euro, rende dipendenti dalle “istituzioni europee” e da chi le controlla. Ricordiamo che con l’euro c’è un trasferimento di valore evidente da periferia a centro che si esemplifica massimamente nei rendimenti negativi del Bund. Con l’euro si incentiva la spoliazione degli asset di valore neutralizzando l’effetto cambio.
Salvini e di Maio non sarebbero dove sono senza l’austerity folle e in palese malafede del 2011. Sono ovvietà di cui però spesso ci si dimentica. Qualsiasi cosa abbiano detto o fatto o faranno di sbagliato, e non siamo timidi nel sottolinearlo, non modifica il giudizio storico sull’epopea dell’Europa degli ultimi dieci anni. Non cancella l’orrore degli squilibri in cui tutti gli stati sono nominalmente uguali, ma in cui c’è sempre qualcuno più uguale degli altri. Forse non ci resta davvero altro che fare il tifo per le “élites” e poi però emigrare come sogna inevitabilmente la stragrande maggioranza degli studenti italiani che forse di queste cose non capisce molto ma comprende benissimo che a queste condizioni non c’è futuro in Italia e per l’Italia, ma fuori forse sì. Chi rimane qui ripaga debiti destinati a rimanere irripagabili, con una valuta che è il marco tedesco e i tassi di interesse del Venezuela e quando c’è la crisi si fa una bella politica economica prociclica e recessiva; per sempre.
Chissà fino a quanto durerà il magico mondo del mercato unico del lavoro europeo se l’Italia scoppia e al posto di qualche centinaia di migliaia di nigeriani o siriani i Paesi del nord Europa saranno sommersi da qualche centinaia di migliaia di giovani italiani. Ci accoglieranno a braccia aperte, tedeschi e francesi, in nome dell’accoglienza. Anzi no. In nome dell'”Europa” che come è noto coincide con l’euro. Che ci ha risparmiato le guerre, con il piccolissimo dettaglio della Nato, degli americani e delle loro bombe nucleari (che ci piaccia o meno), per consegnarci la peggiore guerra possibile: la guerra civile.