Volge al termine una settimana turbolenta. L’Italia sotto questo profilo non ha nulla da invidiare a nessuno. Ma, una volta tanto, proviamo ad accantonare numeri ed elucubrazioni, talvolta pittoresche sul futuro prossimo del Bel Paese. Anche perché, come ha più volte ribadito il ministro Paolo Savona, l’evoluzione del quadro internazionale potrebbe consigliare di ritoccare la cornice. Di qui l’utilità di guardare al quadro, come sta evolvendo sul fronte della finanza globale. Le novità non mancano, a questo proposito.
La robusta ripresa dell’economia americana, accompagnata finalmente dal risveglio dei salari e da una, per ora moderata, tensione al rialzo dei prezzi, impone una correzione di rotta. In particolare, dopo un decennio di politica monetaria accomodante, a detta della Federal Reserve s’impone una correzione dei tassi verso “livelli normali” o anche più in là. Per la cronaca, i tassi normali secondo la tesi classica, rappresentano la somma tra inflazione (sopra il 2% in Usa) e tasso di crescita del Pil (attorno al 3%). Basti questo per capire perché, a detta di Jerome Powell, la stretta non si esaurirà di sicuro in un ritocco di un quarto di punto a dicembre. Ma si capisce anche perché Donald Trump strepita contro quei “matti della Fed” che minacciano di strangolare l’economia e Wall Street, l’alleato più fedele del Presidente in vista delle elezioni di novembre.
Chi ha ragione? Di sicuro l’economia viaggia a mille. E le prospettive per l’anno venturo sono positive: grazie anche alla spinta del fisco e del deficit (l’anno prossimo il rapporto deficit/Pil in Usa viaggerà sul 6% circa) si può prevedere crescita raddoppiata, salari in ascesa più rapidamente dei profitti con una riduzione delle diseguaglianze. Ma, ahimè, un’accelerazione troppo forte rischia di far volare l’auto della crescita fuori strada. Come è avvenuto al termine della stagione dell’euforia in cui il denaro facile distribuito a piene mani ha provocato la bolla del mattone e del credito.
I segnali di disagio nel mercato dell’auto e del mattone hanno sollevato un primo allarme alla Fed che con grande cautela sta mettendo a punto le armi per affrontare la recessione, probabilmente inevitabile dopo una fase di crescita che dura da dieci anni. Di qui il conflitto tra politica e ragione finanziaria, negli Usa ma non solo. Ma, senza fermarci ai tassi ufficiali, è inevitabile prender atto che i tassi di mercato hanno ormai preso una direzione precisa: il denaro in Usa è destinato a rendere qualcosa di più dello striminzito “zero virgola”. Di riflesso il titolo a dieci anni del Tesoro Usa si sta alzando. Ormai è un passo dalla barriera del 3,2%, un confine critico. Oltre quella soglia, infatti, il rendimento delle obbligazioni supera quello delle azioni: di riflesso i prezzi dei titoli azionari sono destinati a scendere per adeguare gli interessi alle obbligazioni. Brutte notizie anche per i portatori dei vecchi bond.
Insomma, nel breve l’aumento dei tassi è una brutta notizia per i mercati (che non a caso scendono), anche se la crescita dell’economia nel tempo rappresenta di sicuro una buona notizia.
E l’Italia? In queste settimane dominate dagli slogan, da un’assurda competizione tra i partner di governo a chi la sparava più grossa “per rispettare quanto ci hanno chiesto gli italiani”, ci siamo fatti male da soli al punto che JP Morgan sospetta che la realtà sia meno peggio di quel che non appare. E così, l’aumento dei tassi l’abbiamo sperimentato in anticipo.