Le 16 pagine dell’intervista rilasciata a “Credito Popolare” dall’ex Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e le 232 pagine del nuovo libro del Governatore in carica Ignazio Visco (“Anni difficili”, per Il Mulino) meriteranno letture e recensioni approfondite. Ma l’effetto-duello, sul piano mediatico-letterario, c’è già tutto, a maggior ragione quando i temi in gioco in entrambi i “saggi” – il ciclo economico italiano, l’euro e la crisi bancaria – sono di decisiva attualità.
È un duello che Fazio vince in fondo “a prescindere”: rilasciando poche affermazioni asciutte e pacate dal suo “retiro”, dopo la cacciata del 2005 e i processi subiti per (presunta) cattiva vigilanza. Visco, simmetricamente, perde in partenza: costretto a pubblicare un’opera letteraria estesa (la seconda in pochi anni) per difendere il proprio ruolo di responsabile della maggiore authority indipendente nazionale. Obbligato a rimettere faticosamente “in bella” le analisi proposte e le azioni intraprese dalla Banca d’Italia soprattutto nel campo della vigilanza bancaria.
È – Visco – lo stesso banchiere centrale (in via Nazionale e in Bce) ritrovatosi pochi giorni fa sotto il fuoco della nuova maggioranza di governo per l’ennesimo warning tecno-europeista sul Def italiano. Ed è anche il capo della vigilanza nazionale in predicato di affrontare una nuova commissione parlamentare d’inchiesta sui crac bancari: maturati – da Etruria a Mps, da Vicenza a Genova – mentre in via Nazionale c’era lui. Non sono stati, non sono temi da ufficio studi: erano – sono – temi di decisioni da prendere, di decisioni (o “indecisioni”) prese negli ultimi anni.
Fazio ha comunque buon gioco nel rinunciare a fare nomi e cognomi: soprattutto quelli della guerra bancaria italo-europea che ne decretarono la brusca uscita da via Nazionale dopo 12 anni. Il più importante nome a mancare è naturalmente quello di Mario Draghi: il cui arrivo a palazzo Koch dopo Fazio segnò l’espugnazione dell’ultimo baluardo euroscettico nell’eurozona e anti-globalista sui mercati finanziari. È senz’altro il Presidente Bce il convitato di pietra al duello Fazio-Visco. È a Draghi che Fazio indirizza una critica serrata e sostanziale all’Unione bancaria: uno “statement” che per la sua brevità consente e merita qui di seguito una lettura integrale. In attesa di confronti e battaglie che Fazio potrà godersi da spettatore-commentatore, mentre Visco non potrà permetterselo.
“La vigilanza è regolata da un accordo intergovernativo, neanche passato per il Parlamento. Questa vigilanza, è stato detto, ‘è fuori del Trattato, probabilmente è contro il Trattato’. Per questo potrebbe e dovrebbe tornare ad essere attività degli Stati nazionali. A livello europeo dovrebbe restare il coordinamento. Il problema c’è ed è evidente. Se alla Banca centrale viene tolto il controllo sulle maggiori banche, viene tolto lo strumento per intervenire quando è necessario. In tutti i casi di crisi che si sono verificate dal 1995 e con tutte le riforme che si sono susseguite, nessuno ha perso una lira (o, dopo, un euro). Si interveniva. Anche chi assorbiva sportelli di banche in crisi, alla fine, faceva un affare. Abbandonare questo sistema e poi introdurre il bail in è stato un errore. Non funziona. Riduce la vigilanza a continue immissioni di regole e richieste di ricapitalizzazioni. Compito della vigilanza invece è quello di seguire il singolo caso in ogni passaggio. Immaginiamo la salute delle persone affidata, invece che ai medici, ai Ministri della Sanità che intervengono con regole e leggi, che decidono, in maniera generalizzata e astratta, medicina e dose per ogni patologia e, in caso di malattia, obbligano il paziente a curarsi con la medicina stabilita. La vigilanza è cosa diversa. È il medico che si deve prendere cura del paziente prevenendo la malattia, che deve studiare il suo caso specifico, seguirne il decorso e adeguare la terapia al malato. Quando la Vigilanza era tra le competenze delle singole Banche centrali, nel momento in cui i dati cominciavano a mostrare anche minime criticità, si interveniva immediatamente, spesso anche soltanto informalmente, per evitare preventivamente situazioni di crisi. Negli Stati Uniti funziona ancora così. Occorre tornare a rimettere seriamente su questo problema, senza restare ancorati a un sistema che, alla prova dei fatti, si è visto non essere efficiente”.