Tanto tuonò che, come in questo autunno dal clima tropicale, fece una “pisciatina” e tutto tornò come prima. Scusate la metafora poco elegante, ma mi pareva la più efficace per descrivere il risultato delle elezioni in Baviera, snodo fondamentale per l’Europa che si affaccia verso il Brexit e verso le elezioni di maggio, ivi comprese il rinnovo di tutte le cariche in seno alle istituzioni di Bruxelles. È andato tutto come doveva, come era previsto. Ma l’effetto non è stato quello di un terremoto. Per più di una ragione.
Partiamo dalla coda e per farlo torniamo un istante in Italia. Lo sapete che da un mese il nostro Paese, nel pieno del turbine di mercati legato al Def, è senza guida alla Consob, l’ente di vigilanza della Borsa? Già, dopo le dimissioni di Mario Nava per clamorose pressioni politiche del Governo riguardo il conflitto di interessi che si sarebbe palesato per il suo ruolo proprio in seno alla Commissione Ue, regolato dall’istituto del “distacco”, ancora si naviga a vista. Il Governo ha promesso da almeno due settimane una soluzione rapida e come nome di punta è emerso un qualcuno di molto conosciuto ultimamente su queste pagine, il professor Antonio Maria Rinaldi, euroscettico d’antan e pupillo del ministro dell’Economia de facto, il professor Paolo Savona. Lui non nega, ma, nel frattempo, lo spread si è assestato fisso a quota 300 e le nostre banche vengono massacrate in Borsa. Ora, in un momento simile e con la (formale) ferrea intenzione del Governo di proseguire imperterrito sulla sua strada, nonostante le bocciature giunta da ogni dove alla manovra economica, vi pare normale che la Consob vada avanti, di fatto, zoppa, senza un capo a cui il Governo può fare riferimento? Oltretutto, avendo il candidato pronto in casa, un fedelissimo.
Come mai, a vostro modo di vedere? Forse c’entrano i poteri di vigilanza e sanzione che la Consob detiene e che dovrebbe esercitare, in questo periodo di frasi e concetti in libertà a mercati aperti? Chissà. In compenso, in Germania l’ente regolatore della Borsa, la Bafin, funziona a meraviglia. Talmente bene che ieri mattina il Dax di Francoforte, reduce da una settimana di cali pesanti e un netto aumento dell’indice di volatilità, ha aperto le contrattazioni un’ora in ritardo rispetto alle altre piazze europee. Ufficialmente, “problemi tecnici”. Nessun dubbio al riguardo, per carità. Appare però sorprendente la coincidenza rispetto alla prima sessione di contrattazioni post-elezioni bavaresi: guarda caso, con il resto d’Europa che viaggiava piatta poco sotto la parità, anche il Dax – con calma – ha dato il via agli scambi con un non allarmante -0,36%. Relativamente placido. E, dopo solo un’ora e mezza, era a +0,31%, in linea e ben intonata – come di dice in gergo – con il resto del Continente. Addirittura, alle 14.30 – in piena crisi degli ostaggi alla stazione di Colonia – accelerava a +0,51%. Capito la differenza che corre tra avere un organismo regolatore del mercato che funziona e uno che è un’anatra zoppa per volontà iconoclasta (e, forse, un po’ interessata) della politica? Trucchetti. Ma che servono.
Come serve un capo, perché per quanto il Consiglio della Consob sia pienamente legittimato nei suoi poteri, come diceva il Libanese di Romanzo criminale, «se comandano tutti, non comanda nessuno». Tanto per darvi un quadro di prospettiva fra Paesi seri e Paesi guidati da dilettanti allo sbaraglio. O trapezisti con un po’ troppa certezza dei propri mezzi e nella presenza di una rete di sicurezza sotto i propri piedi (di quelli del Paese, è palese che si interessino poco). Ora, torniamo allo specifico della Baviera. Questo grafico ci mostra l’andamento storico della Csu a livello elettorale: il 37,4% ottenuto domenica è il peggior risultato dal 1950. Una bella batosta, non c’è che dire. Ancora peggio per la Spd, finita al di sotto della doppia cifra. Ma attenzione ai vincitori: i Verdi, al 18% e una lista di fatto conservatrice a livello locale, Freien Waehler, sopra l’11%. E Alternative fur Deutschland, i “gemellini” della Lega? Attorno al 10%. Sufficiente per entrare al Parlamento regionale, ma, certamente, ben distante da quanto si sperasse, basti pensare al 18,5% a livello nazionale stimato dall’ultimo sondaggio.
Insomma, i partiti di governo hanno sì perso, ma a favore di chi? Liste dichiaratamente europeiste e, almeno nel caso dei Verdi, in netto contrasto con la linea dura sull’immigrazione sposata dal ministro dell’Interno e rais bavarese, Horst Seehofer. Insomma, la ricca Baviera dice nein, danke agli estremismi alla Salvini. E non perché forte di una supposta superiorità morale rispetto al resto del Paese che sembra flirtare come un piccioncino con Alternative fur Deutschland, ma per il fatto che in Baviera la disoccupazione è al 2,5% contro il 4,5% a livello nazionale e, soprattutto, il governo Csu ha fatto partire un piano dal nome “Debito zero”, ovvero eliminare ambiziosamente ogni indebitamente entro il 2025. Anche prima. E non basta, perché già ai tempi del leader storico della Csu, Edmund Stoiber, si era deciso che buttare via tre mesi ogni anno per la Finanziaria era uno spreco di tempo e denaro pubblico: in Baviera, la si presenta ogni due anni e si interviene solo con una nota di aggiornamento, se resa necessaria dagli eventi. E, a vostro modo di vedere, in un contesto simile si va a votare qualcuno che ti prospetta il salto nel buio, avendo come unica ragione sociale di queste elezioni la lotta all’immigrazione clandestina?
No, infatti batosta per la Csu in versione Lega scelta da Seehofer (più per una battaglia interna e tutta di potere contro la Merkel che per convinzione, basti vedere la posizione al riguardo della potente Chiesa bavarese, da sempre riferimento per i cristiano-sociali) e risultato buono ma non certo ottimo per Alernative fur Deutschland, mentre un successo oltre le aspettative per chi non intende stravolgere il buon governo attuale ma dice no a una chiusura che, stante i dati della Confindustria tedesca riguardo la necessità di mano d’opera specializzata, significherebbe una mossa suicida per l’economia, in tempi di incertezza sui mercati e Qe ormai agli sgoccioli. Ecco la differenza, non politica o partitica ma anche e soprattutto di elettorato: c’è chi ragiona con la testa e chi unicamente con la pancia e la paura.
Perché signori, qui parliamo della regione più ricca della Germania, equivalente alla Lombardia o al Veneto e che ha subito un carico notevole di immigrazione, non di un Land alpino che ha visto cinque migranti in tutto. Quindi, la gente ha avuto la medesima esperienza diretta rispetto alla scelta politica della Merkel del 2015, ma ha reagito, anni dopo, metabolizzando rabbia e timori e guardando al futuro. Non a caso, tra i vincitori ci sono due partiti dichiaratamente e apertamente anti-populisti e filo-europeisti. L’Spd è morta ormai da almeno tre anni, quindi utilizzare il caso bavarese come riprova della ritrita teoria della sinistra post-blairiana moribonda perché troppo liberista è patetico: l’Spd perde perché ha dirigenti incapaci e una linea politica che cambia come una foglia al vento. Anche Gerard Schroeder era “blairiano” e filo-mercati e ha pagato con la carriera politica la sua scelta di riforma del mondo del lavoro con il Piano Hartz (2002): ma a quanto aveva lasciato la Sps, una Spd coraggiosa?
Certo, i mini-jobs figli nati da quella riforma ora non vanno più bene, la diseguaglianza è aumentata, soprattutto all’Est (dove infatti stravincono Alternative fur Deutschland e la Linke, ovvero i partiti della rabbia fine a se stessa e dell’anti-europeismo da applauso facile) e occorre intervenire: ma avendo un’intelaiatura seria, basta qualche ritocco, non serve stravolgere. I cittadini l’hanno capito, inviando un segnale alla Csu e alla Spd, ma non gettando il bambino con l’acqua sporca. Perché per quanto 600 euro al mese siano pochi per il costo della vita tedesco, resta il fatto che fino a oggi l’economia tedesca è volata e il tasso di disoccupazione precipitato ai minimi: ora si può tirare il fiato, riformare e, magari, mettere a tal fine mano a quel mega-surplus enorme accumulato negli anni. Insomma, redistribuire. E questa potrebbe essere la carta vincente in mano alla Merkel, anche in caso di crisi di governo più o meno strutturale.
Ora attendiamo le elezioni in Assia del 28 ottobre, ma il risultato appare più o meno simile a quelle bavaresi: segnale di sfratto per la vecchia politica, la Merkel e l’Ue nel suo insieme? L’esatto contrario, amici miei. La “cura Seehofer” potrebbe presto toccare anche al ministro Salvini, quando la realtà svelerà al Paese che il Re della flat tax è nudo e che il reddito di cittadinanza altro non è se non una misura assistenziale per il Sud, anche alla luce dell’ultimo rapporto della Guardia di Finanza che parla di 6 falsi poveri su 10 in Italia e di 9 su 10 che abusano di esenzioni sanitarie di cui non avrebbero diritto. Sarà la vendetta del Nord sulla grande balla sovranista. E a confermarlo, paradossalmente, è proprio il caso Baviera.
Csucrollata? Sì, al 37 e rotti per cento però. C’è gente che venderebbe sua madre per quella percentuale e per dover rispondere alla sua base di quel “crollo”. Qui siamo di fronte al tipico caso di fidanzata trascurata (l’elettorato) che, per far ingelosire la propria dolce metà, flirta un pochino con il suo migliore amico. O peggio, con quello che proprio non sopporta. Poi, però, torna il sereno. Almeno stando alle basi e alle premesse: sotto il 30% sarebbe stata crisi strutturale, qui siamo alla bufera da cortocircuito politico. Non a caso, i vertici della Csu già ieri mattina avevano dato pieno mandato al governatore bavarese, Markus Söder, per formare un nuovo governo. L’ipotesi più probabile? Un’alleanza con i centristi liberali e conservatori dei Freien Waehler, non con i Verdi. Terremoto, forse? Zero. Certo, forse Seehofer alla lunga si dimetterà, magari perderà potere nella sua Baviera, ma solo perché si è messo a imitare Salvini sulla linea dell’immigrazione, tramutando il tema nell’unica priorità di un territorio che invece – e per sua fortuna – di criticità ne ha altre (e opposte), non perché la Csu governi male. Con una piccola distinzione: se passa il reddito di cittadinanza, magari anche con differenze sostanziali per aree geografiche che aiutino maggiormente il Sud, l’M5S potrebbe drenare voti al nascente consenso leghista sotto Napoli, quello del progetto “nazionale” e sovranista. E, contemporaneamente, la base del Nord potrebbe voler mandare un messaggio chiaro in tal senso – ma con stato d’animo opposto – proprio al leader leghista, “traditore” delle istanze del ceto produttivo.
Non a caso, da due giorni Silvio Berlusconi cannoneggia contro il Def dalla sua Brianza, di cui ha anche comprato la squadra di calcio simbolo del Monza (immagino, non certo per passione). E la Lega, giova ricordarlo, governa al Nord solo con Forza Italia, visto che sopra Bologna (con poche eccezioni), i grillini contano nulla o poco più. Davvero la svolta sovranista annunciata a sorpresa da un Giorgetti a corto di lucidità appare la scelta vincente? Il Carroccio, se ancora si può chiamarlo così, non ha 50 anni di governo regionale monocolore alle spalle a fare da cuscinetto ammortizzante dagli shock passeggeri, come invece ha la Csu. Governa da molto e bene a livello regionale, ma in coalizione con chi ora si vorrebbe rottamare, dopo averlo svuotato elettoralmente. Un bell’azzardo. Attenti a fare funerali anticipati a Merkel e Ue, perché porta male.