Il giorno dopo l’approvazione della manovra si è chiuso con un rimbalzo del Btp e un mini-calo dello spread. Fare previsioni in un contesto politico ed economico così complicato è davvero difficile, visto che bisognerebbe includere la politica italiana, quella europea e americana e il contesto economico globale tutte in una fase “straordinaria”. Cerchiamo di mettere in un contesto un po’ più ampio la giornata di ieri e ciò che potrebbe accadere nelle prossime settimane.



Il rendimento del decennale italiano, che a maggio viaggiava all’1,7%, ha recentemente toccato massimi del 3,7% e lo spread è passato da poco più di 100 a 320. Questi livelli sono già adesso pericolosi, al punto che assumere un ulteriore peggioramento o assumere che l’andamento delle ultime settimane non si fermi significa ipotizzare uno scenario di crisi finanziaria grave e complicatissima da gestire senza un coinvolgimento dell’Europa e una frattura dello scenario politico italiano; in altre parole un altro 2011. Capire cosa stia scontando il mercato è sempre difficilissimo ai limiti dell’impossibile, ma il peggioramento dei rapporti con le istituzioni europee e una finanziaria più “espansiva” con lo spread a 320 erano almeno in parte scontati.



Il secondo elemento è che il 2,4% di deficit, a prescindere da un’analisi del contenuto della finanziaria, non è un numero folle. È pur sempre il minor deficit degli ultimi dieci anni e inferiore o in linea a molte altre economie extraeuropee. È verissimo che l’Italia disobbedisce all’Unione Europea e possiamo discutere liberamente sulla bontà dei provvedimenti contenuti in finanziaria, ma ci confrontiamo con un deficit che non può essere considerato “folle” e che non cambia in maniera sostanziale la traiettoria dell’economia italiana. È un deficit ancora molto “europeo” o, se vogliamo, a metà strada tra “sovranismo/populismo” e istituzioni europee.



Continuiamo a pensare che quello che è successo allo spread nelle ultime settimane, soprattutto in quella dimensione, sia da leggere innanzitutto in un’ottica politica come riflesso dello scontro tra Italia e istituzioni europee e tra Governo italiano e chi ne controlla e detiene la “sovranità sostanziale”; questo ovviamente farà sempre paura ai “mercati”. Il deficit del 2,4% è lo stesso consegnato dal governo Gentiloni inclusivo degli “80 euro”, mentre prima ancora l’Italia si faceva approvare (dall’Ue) il bonus diciottenni.

Ci rendiamo conto che le aspettative sono fondamentali, ma è chiaro come il sole che “l’austerity”, soprattutto in una fase di rallentamento dell’economia globale, è una strada fallimentare non solo per l’Italia distrutta dalle crisi del 2008, come tutti, e del 2011, causa Europa e tradimento di una parte della politica italiana, ma per tutta l’Europa e per l’Europa come progetto. Non è l’Italia che muore di austerity, ma l’Europa tutta — esclusa la Germania e i suoi alleati immediati.

A proposito. Oggi non fatevi ingannare dal ricchissimo surplus tedesco; non è frutto della laboriosità teutonica. A meno che crediate nella superiorità della razza ariana non c’è spiegazione possibile, al di fuori della perversione dell’attuale infrastruttura europea e dell’euro, ad alcuni dati dell’economia tedesca che svettano rispetto a qualsiasi classifica. Il surplus commerciale tedesco è un mostro due volte più grande di quello del Giappone e persino di quello cinese. Una caratteristica incompatibile con tassi di emissione del debito negativi. L’euro, disegnato senza alcun meccanismo strutturale di redistribuzione interna, ha concesso ai tedeschi di poter avere contemporaneamente una valuta debole e un surplus fiscale. Senza l’euro i tedeschi sarebbero stati obbligati a fare una scelta (esattamente come la Svizzera) tra valuta debole e spesa pubblica o valuta forte e “rigore”. Nel secondo caso il marco alle stelle avrebbe alla lunga “ammazzato” le esportazioni. Il surplus tedesco è stato nei fatti finanziato dal resto dell’Unione Europea e la sua contropartita sta nei saldi di target 2.

Per questo qualsiasi progetto di modifica dell’Europa sarà osteggiato dalla Germania nella misura in cui modifica il migliore dei mondi possibili che c’è stato finora, quello dei tedeschi. Chi pensa che i tedeschi abbiano mai creduto nell’Europa e contemplato la possibilità di farsi dire da italiani e greci come gestire le proprie finanze molto probabilmente sbaglia. L’adesione all’euro è stata opportunistica. Il massimo della vita per la Germania oggi sarebbe definire un processo di uscita dall’euro capestro per i periferici e poi farlo scattare portando via il malloppo costruito in 20 anni di euro con il surplus commerciale tedesco mai “reinvestito”, contro tutte le regole europee, e il Quantitative easing che portava i Bund a rendimenti negativi senza alcuna rivalutazione del “marco”. I tedeschi questo non lo diranno mai e soprattutto non l’hanno mai detto ai loro elettori.

Per l’Italia la questione è chiara: se la legge dell’Europa è l’austerity gestita dalla Germania, con la complicità alterna della Francia, allora è davvero meglio uscire dall’euro più prima che dopo. Altrimenti il processo di colonizzazione, in assenza di una modifica “democratica” dell’Europa che non avverrà mai perché troppo sconveniente per chi oggi la controlla, potrà solo continuare. Per contare di più in Europa e rompere equilibri consolidati che ci vedono perdenti è davvero difficile non mettere in conto qualche “frizione” anche con il migliore dei governi possibili.

Ultima nota: anche la fine dell’austerity romperebbe gli equilibri in Europa perché riconsegna flessibilità e margine di manovra a quelli che con l’austerity hanno perso e perdono. Su questo ultimo punto ci limitiamo a sottolineare che in un mondo di deficit fiscali fuori controllo — l’America — o di immissioni di liquidità per salvare il sistema mascherate ma reali — la Cina —, essere gli unici a sventolare la bandiera dell’austerity, almeno nel breve periodo e in assenza di frizioni interne, non può che portare a una rivalutazione del cambio con tutte le conseguenze per il modello economico tedesco. Per questo l’iniziativa contro “l’Europa”, per come si stanno mettendo le cose, potrebbe essere molto più tedesca che italiana.