Il 16 ottobre, in qualche annuario di qualche religione, dev’essere la festa patronale dello spread. Per questo era tutto chiuso per ferie, ieri, nel Paese dello spread. E nessuno ha avuto tempo di accorgersi – reagendo! – della notizia del momento: l’approvazione da parte dello sgangherato Governo italiano di una manovra economica che, ohibò, osa fissare dichiaratamente in partenza al 2,4% il rapporto tra il deficit pubblico e il Pil, invece di promettere la metà e consuntivare il doppio come ipocritamente (e “tranquillizzantemente”) era accaduto sempre, nel corso dei quattro precedenti governi.
Fermi tutti: nessuna porti la mano alla fondina della colt, perché qui nessuno vuole elevare peana ai “Grillofascisti”, come li chiama Giuliano Ferrara. Semplicemente va detto che qualcosa non torna nei conti implacabili delle élites e, sì, dei loro economistoni — che si sono sempre, come ironizzava Galbraith, premurati di spiegare perché le loro previsioni si erano rivelate errate — e dei loro giornaloni, per citare invece il livido Travaglio.
Lo spread tra il Btp decennale e il Bund tedesco ha conosciuto proprio ieri, nonostante sia diventata decreto legge una manovra economica aspramente criticata da tutti, una giornata di tregua. Poi magari domani vola a 400. Poi magari a fine mese Standard and Poor’s (questo è sicuro) declasserà di un gradino il rating dell’Italia e lo spread volerà ancora. Forse la Commissione europea dei credibilissimi (!) Juncker e Moscovici rincarerà tanto aspramente la dose delle loro critiche all’Italietta scialacquona che la metterà finalmente in ginocchio.
Ma forse anche no. Perché la JpMorgan, prima banca americana e quindi del mondo o giù di lì, ha detto che in fondo, e nel suo insieme, l’economia italiana non è così malaccio: l’ha detto perché lo pensa o per obbedire a Trump? Comunque sia, che manna per Conte. Ed è stata seguita dalla seconda banca europea, la francese Bnp-Paribas, che in Italia controlla la Bnl e sa come girano le cose dell’economia reale nel nostro Paese, cioè molto meglio di quanto le statistiche rappresentino: perché c’è, purtroppo, un sommerso che è solo ridicolo allineare alle medie presuntive della Germania o della stessa Francia.
Ma c’è di più e anzi c’è ben altro. C’è stato il voto bavarese. Il voto del Land tedesco (la Regione autonoma) più ricca della confederazione guidata da Frau Merkel che ha sonoramente bocciato la Csu ed ha dato il benservito a quel suo modo taccagno di amministrare lo Stato: gliel’hanno dato proprio loro, i bavaresi, che dell’opulenza tedesca sono i principali beneficiari. Com’è possibile? Lo è, possibile. Perché la loro opulenza non si riverbera quotidianamente nelle loro vite, attanagliate da un’ansia di stabilità che rasenta la psicosi, che riecheggia ancora le carriole piene di inutili marchi con cui le massaie di Weimar andavano a far la spesa, ma oceani d’acqua sono passati sotto i ponti e solo uno “spirito del popolo” ancorato a troppi fantasmi della sua complessa storia può patirne ancora, e in tal modo, gli effetti.
Se anche la Spagna prepara una manovra in deficit, se la Francia ha appena fissato al 2,8% il suo rapporto deficit/Pil, è perché quella politica economica, l’austerity a oltranza, ha fatto il suo tempo e ha deluso. Poi sbaglia Di Maio a dare per certo un “vento di maggio” al prossimo voto, che certo non è. Ma è evidente che alle visioni del tutto sgangherate del medesimo come anche, se non di Salvini, della sua schiamazzante squadretta di economisti, non si contrappone più un magistero credibile da parte della leadership euro-tedesca. Quindi, i gialloverdi straparlano, ma Bruxelles strablatera.
Ma chi l’ha detto che il rapporto sano tra il debito e il Pil debba scendere al 60%, come predica il disapplicato (da tutti!) Fiscal compact? Ma chi l’ha detto che non abbiano avuto ragione i giapponesi, vissuti vent’anni col debito al 180% del Pil, come la Grecia? Che l’Italia sia uno Stato da operetta, dove non funziona più neanche un ufficio della pubblica amministrazione — il che lascia si direbbe indifferente il governo gialloverde — è un dramma, sì; ma non è di questo che s’allarmano, come invece e semmai dovrebbero, i partner europei. Si allarmano degli zero-virgola e tentano maldestramente di ricacciare oltre il confine italiano i migranti che, poveracci, hanno capito che il Bengodi non è a Roma e vogliono provare se sopravvivere meglio a Lione o dintorni o tornarsene, piuttosto che a Riace, in Rwanda.
Insomma, se l’Atene delle cicale giallo-verdi piange, la Sparta di Merkel e Moscovici certo non ride. E la vacanzina dello spread, per breve che possa da domani rivelarsi, è lì a dimostrarlo.