“Non è una stangata”: Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, ha subito gettato acqua sul fuoco, ieri, dopo l’esecutivo Abi che ha ospitato il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Un confronto di due ore e mezzo, a metà fra la “conference call” di Borsa e l’audizione parlamentare: ma per Tria i banchieri italiani sono oggi interlocutori cruciali e non troppo meno dei commissari di Bruxelles o dei gestori di fondi obbligazionari globali. 



Nonostante i rumor, le banche italiane mantengono loro portafogli pieni di Btp, mentre gli investitori esteri si sono già molto alleggeriti. Sono le stesse banche che tengono aperto — devono tenere aperto — il rubinetto del credito a un’economia reale ancora in mezzo al guado (proprio Intesa Sanpaolo ha promesso 150 miliardi di finanziamento-spinta in tre anni per le Pmi). Lo spread ha cominciato a far pagare loro la manovra in anticipo e la Borsa le ha subito punite: in attesa delle forche caudine di Standard & Poor’s (26 ottobre) e Moody’s (30 ottobre) e di ogni possibile ricaduta, anzitutto sul terreno dei requisiti patrimoniali di vigilanza. Nella migliore delle ipotesi (no-downgrading oppure un “notch” di bocciatura con outlook stabile) lo spread potrebbe addirittura migliorare; nella peggiore (un “notch” con outlook negativo oppure due “notch”) lo spread si collocherebbe fra 300 e 400, comunque più vicino alla Grecia. E qualche banca entrerebbe in una pericolosa zona grigia sul fronte del fabbisogno patrimoniale.



È su questo sfondo che lunedì sera il Consiglio dei ministri ha presentato al sistema bancario (e in parte a quello assicurativo) un conto stimato in circa 4 miliardi. L’obiettivo è evidente: chiudere a saldo una legge di stabilità faticosissima sia nella messa a punto fra i due partner di governo, sia ora sul tavolo Ue. Lo strumento è altrettanto elementare: la riduzione della detraibilità degli interessi passivi (dal 100% all’86%), nel cuore della gestione caratteristica delle banche. Nel retroscritto della bozza di manovra vi è la definizione — almeno iniziale, immediata — del contenzioso politico strutturale fra sistema bancario e nuova maggioranza di governo (soprattutto la componente “grillina”): la pretesa dei vincitori del 4 marzo di chiedere alle banche il risarcimento danni per lunghi anni di “risparmio tradito”. E in parte (non è ancora chiaro se per più o meno di un miliardo di euro) il prelievo supplementare sulle banche andrà a finanziare i rimborsi ad azionisti e obbligazionisti delle banche andate in dissesto negli ultimi tre anni (da Etruria alle Popolari venete).



Restano naturalmente tutte le incognite tecniche e tutti gli interrogativi politici collegati. Quale sarà il saldo reale della “non-stangata” sulle banche? Come si compenseranno gli intangibili politico-elettorali della manovra con gli intangibili finanziari (l’ulteriore pressione sui titoli bancari in Borsa e quindi l’effetto-sfiducia già sperimentato nel 2008, nel 2011, nel 2015)?