Guido Guerrieri, l’avvocato protagonista delle strepitose storie investigative di Gianrico Carofiglio, risolve un caso complicatissimo con un improvviso colpo di genio. Accorgendosi di quello manca. Questo ribalta la lettura della realtà che ha davanti da settimane, la sua sequenza, i suoi nessi e spiega tutto. Pochi giorni fa un rapporto dell’Anac di Raffaele Cantone, ripreso da Gian Antonio Stella e da qualche Tg, riproponeva con puntiglio la vecchia questione dei costi standard con particolare attenzione al settore del diabete, 3,2 milioni di italiani, il 5,3% della popolazione generale, il 16,5% degli over 65. Il tema è sempre quello: perché la striscetta per l’autocontrollo costa 19,1 centesimi a Bologna e 65 a Bolzano? Perché un “ago-penna” per provocare la goccia di sangue, da 0,015 in Liguria a 0,165 nel Lazio? Undici volte tanto. 



Questa sezione, l’autogestione del diabete (esclusi i farmaci) rappresenta 508 milioni di spesa pubblica annua. Il risparmio teorico, se la spesa fosse pari alla media, colpendo la disparità dal centro quindi, non dal minimo che pure esiste, sarebbe di oltre 200 milioni. Questo Governo prende di petto il suo diritto a intervenire sull’emergenza povertà e in un certo senso trova anche una logica nel legare a questo, a parte un po’ di populismo, il tema del rapporto fra forze produttive e fisco, dell’aspettativa di riequilibrio delle forze vive e produttive (“mando in pensione chi ha già dato, metto in circolo ormoni giovani”) nella cornice di una vera e propria revanche contro un’Europa che a dispetto delle sue sedi nella Mitteleuropa, è diventata un’icona di bizantinismo. Che vuole imporre perfino la dimensione giusta delle cozze, delle telline e degli asparagi. Tutto giusto. Sia detto non per tagliare corto, ma davvero con l’umiltà di riconoscere che almeno il passo del mettere il dito su alcune piaghe e del rischio che si corre nel cercare soluzioni, va riconosciuto. Ma se anche accettiamo un margine del 15% di ingiustizia, nel sussidio alla povertà, nel condono fiscale, nei pensionamenti, vogliamo condannare un Governo che di fronte ad autentici drammi, almeno ci prova? E per giunta senza tergiversare? Il problema è la lettura che il Governo offre di quel che fa. 



Perché presentare queste cose enormi, come gli strumenti o i binari dell’alta velocità per la ripresa e lo sviluppo è una follia. Pericolosissima. Rispetto alla prospettiva queste sono cosette, enormi per il coraggio a confronto con i lombrichi pusillanimi che stanno attorno e che avevano le leve fino a poco fa, ma cosette. Pinzillacchere, diceva il Principe De Curtis. 

Lo scorso giugno, a proposito di povertà, sanità, spesa pubblica, un rapporto accurato del Censis e di RBM Salute, ha evidenziato che la spesa sanitaria privata supera i 40 miliardi in Italia. Di questa il 60% è sostenuta dai redditi medio-bassi. Il 40% dai malati cronici. 2,8 milioni di italiani hanno dovuto vendere casa o impiegare il risparmio per curarsi. Non bastasse, si è sentito ormai troppe volte che in 15 anni verranno a mancare oltre 40.000 medici, difficili da rimpiazzare con le risorse umane interne, si dice. Perciò in queste ore – sapremo la verità – è uscita l’indiscrezione dell’idea di liberalizzare l’accesso alla facoltà di medicina. Peccato, dicono quelli che contano e che rappresentano sul serio i problemi e la conoscenza della categoria, che il problema non stia nei numeri. Con circa 9.000 iscritti l’anno ci sarebbe tutto il tempo e il modo di assicurare un ottimo ricambio. Il problema sta dopo la laurea. Nei meccanismi per i dottorati, nei potentati abbarbicati, nelle risorse usate male. 



La sanità italiana, ancora un miracolo di civiltà di un Paese e per la dignità della persona, malgrado quanto evidenziato, proprio per mantenere questo livello eccezionale fondato sull’universalismo e la sostenibilità, deve anch’essa prendere di petto la struttura dei suoi costi, dove pesano troppo quelli amministrativi e di inefficienza gestionale, dove non sono tollerabili quelle disparità nei costi. E dove occorre pianificare e prima ancora accettare un’integrazione del modello con un terzo pilastro. Cioè poli assicurativi in compartecipazione della spesa che spingono forte verso il cosiddetto circolo virtuoso. Copertura dei rischi, sostegno agli imprevisti, incentivo al rapporto qualità prezzo dei fornitori, integrazione ideale pubblico-privato. 

Il Governo non può pensare che, siccome si è insediato lui e dimostra di avere il coraggio, il Paese comincia a girare. Il Paese come tale è in ginocchio. È a brandelli. Giustizia, infrastrutture, assetto idrogeologico, sanità, formazione, burocrazia, statuto del pubblico impiego. Se non ci mette le mani, sul serio, bene, senza paura come non ce l’ha dello spread e dei mercati. Con competenza, non come la comoda idiozia dell’accesso a medicina. Se non fa questo, il ponte Morandi non è l’epilogo di un’epoca, ma la profezia del futuro che è già arrivato.