Nei prossimi giorni il Governo cercherà di limitare i danni causati da un progetto di bilancio 2019-21 che non ha convinto i mercati e dall’isolamento nell’Ue. Tali danni, al momento, sono misurabili come decine di miliardi, sia di risparmio italiano che di investimenti esteri, fuggiti dai titoli di debito e dalla Borsa nazionale con la conseguenza di rinviare le decisioni di investimento e di quotazione in Borsa di molte imprese, fatti tendenzialmente recessivi. Il mercato ha bocciato non il concetto, ma la parte tecnica del progetto di contrasto alla povertà combinato con una forte stimolazione della crescita, capace di aumentare il Pil e giustificare il finanziamento in extra-deficit di ambedue le misure.



Da un lato, la bocciatura appare motivata. Per esempio, non ha alcun senso prevedere centri di facilitazione del lavoro in un Sud dove il lavoro non c’è e un assistenzialismo illimitato e dissipativo. Avrebbe senso, invece, classificare i terrori meridionali più carichi di povertà come aree di sottosviluppo tale da richiedere interventi d’emergenza, con facilitazioni fiscali e deroghe ben motivate dal divieto europeo di aiuti di Stato, per creare opportunità di lavoro. D’altro lato, c’è ancora tempo per rendere più credibile l’effetto crescita del mercato interno prodotto sia dalla spesa di investimento sociale, sia dagli stimoli fiscali (ora minimi). Ma per riuscirci bisognerebbe, parallelamente, ridurre la crisi di fiducia sul sistema finanziario e del credito. Ciò implica convincere il mercato che il governo non abbia un piano segreto per far uscire l’Italia dall’euro, affinché questo rischio – ora percepito come elevato – non riverberi con quella di insolvenza, rendendo impervio il normale accesso al credito per imprese e famiglie con conseguenze depressive.



Infatti, il Governo sta enfatizzando la volontà di restare nell’euro. Ma il mercato valuta che i due partiti al governo vorranno fare campagna elettorale imputando alla cattiva Europa e non a difetti nazionali il malessere dell’Italia. In realtà, i primi prevalgono, ma sono peggiorati da euroregole assurde. Basterebbe comunicare che l’Italia vuole restare nell’euro, ma spingendone un’architettura migliore concordata con tutti – come scritto da Savona nella lettera agli eurogoverni – per chiarire il tipo di euroconfronto e mettersi nella posizione di (grande) azionista dell’Ue, abbandonando quella corrente di menefreghismo aggressivo, per rassicurare almeno parzialmente i mercati.

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