“Da Bruxelles possono anche mandare 12 letterine, da qui fino a Natale, ma la manovra non cambia”. Matteo Salvini ribadisce così la linea del Governo dopo la decisione della Commissione europea sul Documento programmatico di bilancio arrivata martedì. Un atteggiamento, quello dell’esecutivo italiano, che sembra essere senza precedenti. Cosa che non si può dire né per il non rispetto delle regole europee da parte di un Paese membro, né per l’entità dello scostamento dalle indicazioni di Bruxelles, come ci spiega Massimo D’Antoni, professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena.



Professore, cosa pensa di quello che sta succedendo tra Italia e Ue dopo la decisione della Commissione?

Quello che vediamo era del tutto prevedibile. Il Governo ha dichiarato di volersi allontanare dalla strada indicata dalle regole europee, spiegando che intende perseguire una diversa strategia. La priorità per l’esecutivo va data al rilancio della domanda interna, così da ottenere un aumento del Pil in grado di far diminuire il rapporto debito/Pil, invece di realizzare il pareggio di bilancio.



Intende la strada indicata dalle regole di Maastricht?

I criteri di Maastricht prevedevano un limite del 3% per il deficit/Pil e del 60% per il debito/Pil, ma nei fatti al momento del varo della moneta unica rimase in piedi solo il primo dei due, perché diversi paesi, tra cui Italia e Belgio, non rispettavano il secondo. Solo con la crisi del 2010-11 si è arrivati a definire più precisamente il criterio di riduzione del debito. Ed è stato deciso che questa regola avrebbe affiancato quella del 3% per determinare l’avvio o meno di una procedura di infrazione. Dunque la regola della riduzione del debito in questo momento ha lo stesso status della regola del 3% e la scelta di non rispettarla porta in modo abbastanza consequenziale a una procedura di infrazione. A meno che…



A meno che?

A meno che la Commissione non riconosca delle ragioni per le quali questa violazione potrebbe essere giustificata, che è poi quello che ha fatto negli anni scorsi. Solo che quest’anno è stata presa di petto da questo Governo. Credo quindi che si andrà all’avvio di una procedura di infrazione nei nostri confronti: ci troveremo nella situazione in cui si trovavano, per esempio, la Spagna dall’inizio della crisi finanziaria fino a quest’anno e la Francia fino all’anno scorso. Una situazione che noi abbiamo visto sempre con molto timore, ma nella quale altri paesi si sono trovati per un certo numero di anni senza soffrirne in modo particolare.

Lei ha citato le infrazioni di Francia e Spagna sul deficit, ma esiste anche quella della Germania sul surplus commerciale. Non andrebbe sanzionata anche Berlino?

Le regole europee non hanno tutte lo stesso peso. Per effetto di un’attenzione direi quasi maniacale ai parametri di finanza pubblica, la regola del 3% e quella del debito sono associate a uno specifico meccanismo sanzionatorio, che, si badi bene, non è immediato (ci sono prima richiami, inviti a correggere, ecc.). Per altre regole, come quella sul surplus, oltre a un generico richiamo non mi risulta che siano invece previste procedure specifiche.

Giustamente ha detto che non è la prima volta che non rispettiamo la regola sul debito. Il sospetto che stavolta si sia presa una decisione politica contro il Governo italiano è forte…

Nelle decisioni della Commissione c’è sempre un certo margine di discrezionalità politica. In anni passati si è concessa flessibilità invocando le difficoltà del momento economico o riconoscendo la realizzazione di riforme strutturali in linea con le raccomandazioni della Commissione: si tollerava un certo margine rispetto a un’applicazione stretta delle regole, accompagnando il via libera con la raccomandazione che dall’anno successivo si sarebbe tornati a situazione di “normalità” e di rispetto dei vincoli. Lo si faceva anche per diversi anni di seguito. In una situazione di discrezionalità di questo tipo, possono anche diventare rilevanti valutazioni politiche e il fatto che in Italia ci sia un Governo che ha un atteggiamento esplicitamente ostile alle regole europee, che mostra insofferenza rispetto alle raccomandazioni dell’Unione europea, sembra aver suscitato un atteggiamento specularmente severo della Commissione.

Da quello che ha detto sul fatto che altri paesi si trovano o si sono trovati alle prese con una procedura di infrazione non sembra che dobbiamo temere conseguenze disastrose. È così?

Francia e Spagna hanno avuto per diverso tempo deficit significativamente superiori al 3%. Il fatto di essere sotto procedura di infrazione significa essere sottoposti a una vigilanza più stretta, che comporta raccomandazioni e inviti a tornare sul sentiero del risanamento, non rispettando le quali si rischia come dicevo l’applicazione di sanzioni, vere e proprie “multe”. Nel caso di Francia e Spagna, abbiamo assistito a rinvii di anno in anno dell’obiettivo di rientro nelle regole e dell’applicazione delle sanzioni, quindi nel loro caso l’infrazione è stata senza conseguenze. Del resto, anche il nostro raggiungimento del pareggio di bilancio viene continuamente rimandato dal 2012. Nonostante i toni spesso minacciosi, le regole sono state applicate finora con flessibilità. Certo, questo non esclude che ora con l’Italia possa esserci un diverso atteggiamento, e immagino che a quel punto sarà facile dire che c’è stata una valutazione politica. 

Può giocare un ruolo in questo senso il fatto che la Commissione abbia messo nero su bianco che c’è stata una deviazione “senza precedenti”?

Non capisco in che senso sia “senza precedenti”. L’Italia non è certo il primo Paese che viola una regola europea.

Forse per l’entità dello scostamento?

Non direi, dal momento che in passato abbiamo visto ad esempio livelli di deficit della Spagna al 6% del Pil. L’unica differenza che vedo è che invece di cercare una mediazione, una giustificazione, questo Governo ha dichiarato l’intenzione di non rispettare le regole. C’è quindi un’aperta sfida che è forse la vera novità. Nei numeri l’assenza di precedenti non la vedo.

Crede che la conseguenza più negativa per l’Italia più che dall’eventuale procedura di infrazione potrebbe arrivare dai mercati?

Direi proprio di sì. Al momento non sarei particolarmente preoccupato per la sanzione, che non sarebbe comunque immediata. Il vero problema è vedere se i mercati percepiscono quello che sta succedendo come rischio di una possibile disgregazione dell’euro o di un’uscita dell’Italia. Sarà anche importante capire quale sarà l’atteggiamento della Bce. Formalmente segue una sua linea indipendente, ma nella realtà la sua azione non è e non può essere slegata da quelle che sono le dinamiche politiche all’interno dell’Unione.

In che senso professore?

Voglio dire che se il Governo italiano viene considerato “ribelle”, anche un Draghi ben disposto potrebbe avere più difficoltà a convincere i tedeschi e non solo loro dell’opportunità di intervenire per calmierare lo spread. Più che quello che può fare la Commissione con le regole europee, vedo quindi con preoccupazione il rischio che venga a mancare la garanzia implicita sul nostro debito fornita dalla Bce. È dalla reazione dei mercati che a quel punto arriverebbe la vera minaccia.

E all’orizzonte ci sono le elezioni europee…

La mia impressione è che questo confronto tra Roma e Bruxelles finirà per rafforzare elettoralmente il Governo. Non si capisce però se sul fronte europeo l’Italia troverà molti alleati dopo il voto. Si prevede un’avanzata dei partiti cosiddetti populisti, ma non so dire se e in che misura questo porterà a un cambiamento nell’atteggiamento della Commissione nei confronti dell’Italia: basti pensare all’ostilità mostrata verso la manovra italiana dal cancelliere austriaco Kurz, in teoria un alleato del nostro Governo. Certo, una vittoria dei populisti potrebbe indebolire la Commissione e avere quindi anche delle conseguenze sul grado di rigore con cui le regole verranno applicate. Ma è davvero difficile fare previsioni su quello che potrà accadere dopo maggio.

Il ministro Tria ha dichiarato che uno spread a 320 non si può mantenere a lungo, e che i fondamentali dell’Italia sono solidi, ma c’è l’incertezza politica su dove il Governo vuole andare. È d’accordo?

Sono d’accordo. Come ho detto anche in altre occasioni, lo spread italiano non si spiega né col deficit, né col livello del debito, la cui sostenibilità non è certo compromessa dalla manovra appena varata. Il punto è se la rottura tra Italia e Unione possa rappresentare un passo in direzione di un abbandono della moneta unica da parte del nostro Paese. Gli investitori scontano il rischio (ancora basso ma non trascurabile) di una possibile ridenominazione del debito italiano in una nuova valuta nazionale.

(Lorenzo Torrisi)

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