Si sa che Mario Draghi, il governatore della Banca centrale europea, è considerato dai mercati finanziari come una specie di oracolo, quasi all’altezza di Warren Buffett. E si sa che non parla mai a vanvera, dal suo celeberrimo “whatever it takes” in poi, la frase con cui congelò il 26 luglio 2012 la speculazione mondiale contro l’euro facendo sapere che la sua banca avrebbe acquistato titoli pubblici sui mercati qualunque cosa questo avesse comportato.
Ebbene, ieri il suo intervento al margine della riunione del consiglio Bce, pur essendo stato rigorosamente neutrale da un punto di vista emotivo e politico, si è risolto in un nuovo, importante aiuto all’Italia. Perché?
Innanzitutto riepiloghiamo le cose salienti che Draghi ha dichiarato sulla crisi italiana, cioè la rottura senza precedenti tra il governo Conte e la Commissione sulla legge di bilancio 2019: “Sono fiducioso sul fatto che si troverà un accordo”, ha dichiarato innanzitutto. Su quali basi? Ha forse avuto colloqui informali con i protagonisti da entrambi i fronti? C’è da crederlo. Ma poi, la correzione: “È una questione di buon senso”, ha aggiunto, come se non avesse in mano elementi di fatto ma solo analisi logiche. Conviene al Paese, alle famiglie, alle imprese, ai partiti che guidano il Governo “convergere verso un’intesa”.
Però attenzione, le parole Draghi le sceglie una per una ed ha scelto il verbo “convergere”: quindi avvicinarsi reciprocamente, l’Italia alla Commissione ma anche la Commissione all’Italia. E poi ancora: “Moderate i toni”, anche qui rivolto a tutti: “Prima di tutto, si abbassino i toni e non si metta in dubbio la cornice costituzionale ed esistenziale (constitutional existential framework) dell’euro”. Cosa che però i governanti italiani stanno ripetendo ogni giorno più volte al giorno, sono stati semmai Juncker e Moscovici a parlare di un atteggiamento di tale gravità da far pensare a una rottura con l’Unione e non solo con la Commissione.
Infine, da Draghi anche una stoccata al quartetto Conte-Tria-Salvini-Di Maio: “Bisogna ridurre lo spread: varare politiche che lo abbassino”. Inequivocabile messaggio a favore del rigore. Che però Draghi ha scelto di non incrudelire aggiungendo quel che qualcuno sperava e altri temevano, cioè un annuncio più chiaro sulla fine formale del quantitative easing, cioè l’acquisto di titoli pubblici da parte della Bce che continua a sostenere la domanda di Btp.
Si sa che il programma non può essere eterno, si prevede che possa essere concluso entro la scadenza, tra un anno, del mandato di Draghi ma la decisione non è stata mai formalizzata… né il governatore l’ha fatto ieri, nemmeno con mezzi termini. E si sa che fin quando la Bce acquista titoli pubblici dei Paesi euro, lo spread può salire ma non “impazzire”…
Quindi per il governo una bella mano d’aiuto, dal governatore europeo. Ma nessun ammiccamento, perché la faccenda dello spread è di competenza di Conte & co., e Draghi su questo non ha fatto sconti; anche perché “la Bce non intende finanziare il deficit degli Stati membri”, come il banchiere ha ricordato.
E dunque? Dunque una serie di messaggi misti, ma – va ripetuto – con un saldo più utile che dannoso per il governo italiano nel suo braccio di ferro sulla flessibilità sul quale sembrerebbe politicamente accerchiato dagli altri Stati membri, nessuno dei quali al momento ha speso una sola parola di sostegno, tantomeno dal fronte di Visegrad e comunque degli altri governi sovranisti, concordi con Salvini e Di Maio nel restituire sovranità alle singole nazioni ma proprio per questo e a maggior ragione del tutto chiusi a concessioni europee a singoli Paesi che possano comportare costi per gli altri.
In definitiva, se ai segnali di Draghi si aggiungessero anche dei segnali concreti sui mercati da parte di “mani forti” americane e russe – e non solo le chiacchiere affettuose di Trump con Conte e di Putin con Salvini – la trattativa del governo con Juncker e Moscovici potrebbe volgere al meglio: ma da quel fronte, per il momento, più che chiacchiere non ne sono arrivate.