Le parole di Draghi hanno provocato molte reazioni nella maggioranza gialloverde. Il senatore Alberto Bagnai (Lega) ha giudicato “improprio che il massimo esponente della stabilità finanziaria in Europa emetta degli allarmi circa la tenuta delle banche di un Paese che è sotto il controllo della sua vigilanza”. Il vicepremier Luigi Di Maio ha accusato Draghi di “avvelenare il clima”. Il ministro Paolo Savona, invece, ha richiamato il presidente della Bce ad “assumersi le sue responsabilità”, ribadendo – nel corso di un’intervista a Sky l’altro ieri – che “il governo rimanderà a Bruxelles la stessa manovra di bilancio”. Abbiamo chiesto al professor Antonio Maria Rinaldi, professore di Finanza aziendale all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Pescara ed economista vicino a Savona, un commento a queste critiche e a questa decisione del governo di non emendare affatto, come richiesto invece dalla Commissione e da alcuni Paesi della Ue, il Documento programmatico di bilancio.



Come giudica, professore, le parole di Draghi?

Sono un colpo al cerchio e un colpo alla botte.

In che senso?

Nel senso che, avendo un ruolo istituzionale, doveva ribadire giustamente il rispetto delle regole, ma dall’altro Draghi ha fatto un’apertura: sono fiducioso che si troverà un accordo tra le parti. Di fatto è stato l’unico, a confronto con gli altri esponenti delle istituzioni europee, ad aver avanzato questo invito in modo palese. Ovviamente non basta per rassicurare gli animi. Altra cosa, invece, è il monito che la Bce non ha nel suo mandato il compito di finanziare gli Stati, un concetto che Draghi ha voluto ribadire in maniera esplicita. Ma proprio questo è il punto su cui si batte il governo italiano.



Per andare in quale direzione?

Occorre una nuova governance europea, in cui la Banca centrale possa adempiere al compito di prestatrice di ultima istanza. Con una puntualizzazione.

Quale?

Dire prestatrice di ultima istanza non significa nulla se non si specifica il motivo di tale richiesta.

Che sarebbe?

Sappiamo da statuto e regolamenti che la Bce ha il mandato per un target inflattivo identificato nel 2%. Sarebbe il caso, come per altre Banche centrali, che avesse altri obiettivi, ad esempio in termini di crescita economica e di tassi di occupazione. A quel punto la funzione di prestatrice di ultima istanza avrebbe una sua valenza: è lo strumento adatto per raggiungere quegli obiettivi, che invece purtroppo mancano.



Le parole di Draghi hanno suscitato diverse reazioni nella maggioranza gialloverde. Il presidente della Bce è stato “accusato” di creare allarmismo sulle banche e di avvelenare il clima nei confronti dell’Italia. Che ne pensa?

Se le accuse si riferiscono al fatto che Draghi ha fatto le sue affermazioni a mercati aperti, le critiche sono pertinenti. Conosciamo il nervosismo di cui in questo momento soffrono i mercati, e non solo quello italiano. Fosse stato più cauto, posticipando la sua conferenza stampa a margine della riunione del board della Bce – che, tra l’altro, ha lasciato i tassi invariati e ha previsto il Qe fino all’estate 2019 – sarebbe stato molto meglio. Anche le esternazioni dei commissari europei avvengono sempre a Borse aperte…

Il ministro Savona ha commentato le parole di Draghi…

…a mercati chiusi…

…dicendo che la Bce ha il compito di calmierare lo spread e di evitare rischi sistemici alle banche. Ciascuno – ha concluso – si assuma le sue responsabilità. Che cosa può fare in più la Banca centrale europea rispetto a quanto fatto finora?

Sappiamo che la Bce, dal 2012, dopo il famosissimo “whatever it takes” detto da Draghi, è disponibile a fare qulasiasi cosa a supporto dell’integrità dell’area euro. Naturalmente le banche rappresentano delle colonne portanti di questo sistema e quella frase stava a significare che Draghi non avrebbe fatto mancare il suo supporto alle banche. Ricordiamoci che quel “whatever it takes” arrivò due giorni dopo che lo spread, sotto il governo Monti, era schizzato a 538 punti, e fu sicuramente una mossa calmieratrice. Draghi non procedette ad acquisti di titoli di Stato, bastò questo impegno verbale. Perché, con uno spread a 315, più di 200 punti inferiore ad allora, Draghi non ripete la stessa frase? Ha voluto aiutare più Monti che Conte? Ha cambiato idea? E’ cambiato qualcosa? I mercati sarebbero molto interessati a saperlo.

Non dipende forse dal fatto che manca un solo anno alla scadenza del suo mandato?

Il presidente della Bce fino all’ultimo giorno in cui è titolare della carica la esercita nella sua pienezza. Dubito che oggi i poteri di Draghi siano diminuiti.

Secondo lei l’Italia fa bene, come ha ripetuto nell’intervista a Sky l’altra sera Savona, a rimandare alla Commissione la stessa identica manovra? Non c’è proprio nulla da smussare, da correggere?

L’ho già detto diverse volte e lo ribadisco: questa manovra è il minimo sindacale per poter risarcire una fascia di italiani che sono stati letteralmente massacrati dalle politiche precedenti. Ancora molto c’è da fare, ma è necessario iniziare e questa manovra è il primo mattone. Fa benissimo il governo ad andare avanti. Del resto, si sono visti gli effetti nefasti quando siamo stati dietro ai dettami europei più orientati al rispetto di numeretti da ragioniere. Alla fine, poi, la differenza sul fronte del deficit, visto che il tendenziale è al 2%, è solo di uno 0,4%. Non penso che così caschi l’Europa.

C’è chi dice che i Paesi del Nord Europa vorrebbero l’Italia fuori dall’euro. Questa posizione intransigente del governo potrebbe, consapevolmente o inconsapevolmente, agevolare questo piano?

Questo è un grandissimo bluff. Nessuno vuole che l’Italia esca dall’euro, perché i primi ad averne malefici sarebbero proprio i Paesi del Nord Europa, a iniziare da Germania e Olanda. Siamo per loro un forte mercato di riferimento: si darebbero letteralmente la zappa sui piedi. Noi vogliamo rimanere nell’euro, ma a condizioni più condivise.

A proposito di condivisione, le reazioni più dure alla manovra italiana sono arrivate dai sovranisti. Il premier austriaco Kurz ha chiesto espressamente la bocciatura della nostra politica economica e i leader di AfD in Germania hanno detto che non vogliono pagare per noi italiani. Non c’è il rischio che dopo le Europee 2019 l’Italia dovrà fare i conti con posizioni di chiusura più dure ed egoistiche?

Siamo già in campagna elettorale. E vorrei anche ricordare che per quanto sbraitino i Paesi del Nord non hanno versato un euro per l’Italia, mentre noi abbiamo versato tanto al fondo salva-Stati e al sostegno diretto ad altri Paesi in difficoltà. Quando siamo andati a bussare alle loro porte? Quindi andrei cauto sulle loro esternazioni.

(Marco Biscella)

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