Anche se l’outlook è negativo e c’è il rischio che il deficit pubblico vada al 2,7% del Pil, Standard & Poor’s ha sospeso il giudizio sul debito italiano. Tutti aspettano l’esito del confronto con la Commissione europea, ma il braccio di ferro tutto politico tra Roma e Bruxelles è destinato a finire in un vicolo cieco. Stanno sbagliando entrambi i contendenti, ma l’errore europeo rischia di avere conseguenze peggiori.
Dove sbaglia l’Italia è chiaro: sta facendo una manovra di bilancio basata sulla spesa pubblica corrente finanziata in deficit, in sostanza redistribuisce un reddito che non è stato ancora creato, ciò non riduce il debito e non crea sviluppo. L’impatto positivo delle pensioni a quota 100 è legato a un aumento degli occupati tutto da dimostrare (bene che vada per 10 lavoratori che escono ne entreranno 3 secondo le stime delle stesse aziende pubbliche, dalle Poste all’Enel). Quanto al reddito di cittadinanza, avrà più o meno lo stesso effetto degli 80 euro di renziana memoria. In un caso e nell’altro, la domanda interna per consumi crescerà in modo insufficiente a giustificare un’accelerazione come quella prevista dal Governo. Tanto più in uno scenario internazionale che vede la congiuntura in netta frenata, sperando che non arrivi una vera e propria recessione.
Di fronte a una riduzione della domanda estera che finora ha fatto da locomotiva, gli investimenti pubblici potrebbero servire da ammortizzatore, ma di questi nella Legge di bilancio c’è solo una pallida traccia. Esistono impegni di spesa consistenti pari a 150 miliardi di euro secondo il Governo che si impegna a sbloccarli. Ancora non abbiamo letto nessun provvedimento che vada in tal senso, in ogni caso ci vorrà tempo e il loro effetto si vedrà tra un paio d’anni, non nel 2019.
Detto questo, la risposta dell’Unione europea è miope. La Commissione lascia nelle mani dei populisti la bandiera della crescita con la quale, pure, si era presentata subito dopo le elezioni del 2014. Ricordate gli appelli al rilancio e i progetti per gli investimenti, a cominciare dal piano Juncker? Ebbene è evidente che il problema numero uno dell’Italia sia la mancata crescita, come scrive il Wall Street Journal al quale piace in particolare la flat tax, dunque è qui che deve focalizzarsi Bruxelles, basando il proprio giudizio su questo parametro e non solo sul rapporto deficit/Pil. Del resto, non si può chiedere di tirare la cinghia a un Paese che in ogni caso ha un attivo strutturale (al netto del pagamento degli interessi), tanto meno quando all’orizzonte c’è una inversione della congiuntura. Al contrario, la Commissione europea dovrebbe invitare tutti i paesi europei, a cominciare dalla Germania, a seguire politiche espansive.
È questo il miglior modo di aiutare non solo l’Italia, ma l’intera Europa che rischia di pagare più cara la prossima recessione. L’equilibrio di bilancio è fondamentale per giudicare se l’Italia resterà solvibile e sarà in grado di ripagare chi le presta i soldi per coprire l’enorme deficit pubblico, tuttavia, tenere i conti in ordine resta il mezzo non il fine che resta, come è scritto nel mandato della Bce, la crescita nella stabilità.
Il braccio di ferro ha un solo sbocco: la procedura d’infrazione. E se l’Italia non paga la multa, come ha minacciato Matteo Salvini? In questo caso, sembra proprio che l’Ue resti con le pive nel sacco, perché oggi come oggi non ha nessuno strumento per intervenire. Non può cacciare l’Italia visto che non esiste una procedura di espulsione dall’Ue e nemmeno dall’euro. Dovrà accettare il dato di fatto, cioè un Paese che viola le regole restando impunito. Così l’Italia si assume la responsabilità di destrutturare l’Ue e l’Unione è destinata ad assistere passivamente alla propria disintegrazione.
Certo, l’economia italiana verrebbe colpita dalla reazione dei mercati, mentre sul piano diplomatico subirebbe un crescente e pericoloso isolamento. Hai voglia a chiedere aiuto sull’immigrazione o sulla crisi libica. Quanto alla velleità di rivolgersi altrove, per esempio alla Russia, è solo una pia illusione. Conte è tornato da Mosca con tante parole, ma pochi fatti: Vladimir Putin non verrà alla conferenza sulla Libia e non comprerà Btp (ammesso che ne abbia la voglia e le risorse), perché dei due fondi sovrani uno viene usato esclusivamente per l’economia domestica, l’altro può investire solo in titoli che abbiano almeno due A. Non è il caso dei titoli di stato o delle obbligazioni pubbliche in genere.
Roma e Bruxelles sono avvinte da un unico destino, ma allo stato attuale sembrano figure grottesche di Pieter Bruegel il Vecchio, come i sei ciechi aggrappati l’uno all’altro che cadono inesorabilmente nel fossato. C’è ancora tempo per evitarlo? Sì se prevale la saggezza. Tenere il punto per pura ostinazione ha sempre provocato disastri e tocca all’Ue dimostrare che il senso politico prevale sul nonsenso ideologico e sul fariseismo burocratico.