Che il governo voglia sostenere la sua linea – per quanto controversa – su un’importante riforma, non deve far alzare sopracciglia o arricciare nasi. Nella “politica materiale” può anche starci che un decreto in corso di discussione parlamentare possa essere integrato in corsa con una misura omogenea al provvedimento. Sulla riforma del Credito cooperativo e sul decreto-banche che la contiene, le cronache continuano a riferire un (ormai) “ordinario renzismo”. Ed è questo che obbliga quello che resta dell’opposizione (ad esempio, il senatore del Pd Massimo Mucchetti) ad alzare la voce mentre tutti gli altri – perfino nell’opposizione teoricamente “vera” del centrodestra – stanno in silenzio.



Il progetto di riforma delle Bcc varato dal governo lo scorso 10 febbraio – dopo un anno di lavoro fra Federcasse, Tesoro e Bankitalia – aveva registrato qualche novità dell’ultima ora: sorprendente più sul piano politico-istituzionale che tecnico-finanziario. La più rilevante l’ha rivelato un predecessore di Mucchetti nel settore di sinistra di Palazzo Madama. L’ex senatore Pd Nicola Rossi ha infatti “confessato” di essere stato il “consulente” della Bcc di Cambiano (Firenze), desiderosa di smarcarsi dalla riforma stravoluta – a parole – dal premier fiorentino Matteo Renzi. Il quale ha invocato per mesi il “Credit Agricole italiano” (il Gruppo Cooperativo Italiano, poi prospettato senza esitazioni da Federcasse nel documento di autoriforma), salvo poi preoccuparsi all’ultimo che una singola Bcc su 370 potesse trovare una “via di fuga” (way-out): quella di Cambiano. Dove lavora il padre del sottosegretario alla Presidenza Luca Lotti. Il quale è letteralmente corso a portare in Consiglio dei Ministri un emendamento last minute scritto dal “consulente” Nicola Rossi. Un emendamento che, di soppiatto, ha previsto un meccanismo di trasformazione in Spa di una Bcc con un costo generosamente forfetario (il 20% delle riserve) ma in palese violazione dell’ordinamento cooperativo tutelato dalla Costituzione.



Ora, c’è poco di male (anche non proprio nulla di male) se il governo s’impunta sui propri desiderata. C’è tutto di male, invece, se a trasmettere il diktat alla commissione Finanze della Camera è sempre e ancora “il Lotti”. Se è lui a convocare uno strano “vertice privato” cui partecipano il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi e il viceministro all’Economia Enrico Morando.

Non va bene per niente se è questo vertice a rendere irrilevante il ruolo del relatore al decreto banche – il deputato Pd Giovanni Sanga – rendendo dal nulla dominus del dossier il capogruppo Pd in commissione, Michele Pelillo. Suona male che sia Pelillo – contro l’orientamento di Sanga – a confermare che la norma “ad Bcc Cambianum” non si tocca: così vuole Palazzo Chigi. Suona malissimo sentire che – per di più – viene ribadita la previsione dal recesso di una Bcc dal “gruppo unico”:  contro, cioè, il mantra del premier-rottamatore – in tv sotto Natale – contro i “piccoli banchieri”, accomunati in modo opaco ai banchieri falliti di fine 2015. Fra cui quelli di Banca Etruria.



Suona “più che malissimo” – a proposito –  se nello stesso vertice il ministro Boschi partorisce in ultra-corsa una norma salva-Banca Etruria: un super-credito d’imposta che in teoria dovrebbe risarcire gli obbligazionisti truffati (come il risparmiatore suicida di Civitavecchia); e invece andrà a rendere più appetibile il riacquisto della stessa Etruria. La banca di cui era vicepresidente il padre del ministro Boschi, sottoposta a mozione di sfiducia in Parlamento per presunto conflitto d’interesse.

Ma chi sarebbe il “cavaliere bianco” dell’Etruria? Chissà, forse la stessa Bcc Cambiano, trasformata in Spa “gratis” a costo di distruggere più di un secolo di prassi coooperativa (le riserve accumulate nel tempo in esenzione d’imposta non possono essere “scippate” arbitrariamente). Forse dalla Cambiano assieme alla Bcc del Chianti: presieduta dal fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, poco rimpianto successore di Tommaso Padoa Schioppa e predecessore di Mario Draghi nell’esecutivo Bce (lo mandavano Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti). “LBS” nel frattempo presiede il consiglio di sorveglianza del colosso francese Société Génerale, mentre la Bcc del Chianti ha “risolto” il crac del Credito cooperativo fiorentino: di cui era dominus Denis Verdini. Amico di vecchia data e neo-supporter parlamentare del premier toscano.