Il Governo insiste sul fatto che il progetto di bilancio statale 2019 e biennio successivo, caratterizzato da un ricorso al deficit pari al 2,4% del Pil, contro lo 0,6% promesso in precedenza e l’1,9% definito inizialmente da Tria come massimo per un’Italia a debito già enorme, aumenterà il Pil ottenendo due effetti benefici: invertire la tendenza recessiva in atto e raggiungere in modo dinamico, cioè con più crescita, l’equilibrio dei conti nonché una riduzione del debito complessivo. Il ministro Tria e il primo ministro Conte hanno messo la propria faccia su questa scommessa. Credibile?



La maggior parte degli economisti e, più importante, degli attori di mercato ha forti dubbi, ma aspetta di vedere i dettagli tecnici del progetto prima di esprimere una valutazione finale. In particolare, il giudizio del mercato determinerà il costo di rifinanziamento del debito. Se tale costo aumentasse di molto, lo Stato non potrebbe sostenerlo e dovrebbe tassare i patrimoni privati – come fece il governo Monti – per evitare una spirale catastrofica, innescata dalla conseguente crisi bancaria, restrizione forte del credito e recessione dovuta a un’esplosione dei fallimenti aziendali per questo motivo oppure chiedere l’intervento degli strumenti di salvataggio attivati nell’Eurozona.



Ambedue le risposte a una crisi di fiducia sarebbero comunque recessive. Pertanto o la scommessa riesce oppure il destino dell’economia italiana sarà di tipo greco o argentino. In tal senso la scelta del Governo apre un rischio esistenziale per l’Italia e per la sua residua sovranità. L’esecutivo ritiene che sia preferibile prendere questo rischio piuttosto che quello di continuare a mantenere il rigore perché la continuità porterebbe al declino certo del sistema. Su questo punto ha ragione. Ma per invertire il declino servono investimenti stimolati da una forte riduzione dei pesi fiscali sulle imprese e una riallocazione della spesa improduttiva a favore di più investimenti pubblici.



Se il Governo facesse, nei dettagli del progetto, una tale scelta, allora il finanziamento in deficit di più investimenti non sarebbe visto come un problema, ma come giusta mossa espansiva. Se, invece, il deficit servisse principalmente a finanziare l’assistenzialismo per motivi elettorali, allora la crisi sarebbe gravissima. È così evidente da far sperare che entro il Governo prevalga la linea sviluppista e che il contrasto alla povertà non diventi finanziamento a debito della pigrizia.

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