Secondo le ultime dichiarazioni, il diritto al reddito di cittadinanza cadrà dopo il rifiuto di tre proposte di lavoro; in Italia ci sono circa 6 milioni di persone o disoccupate o inoccupate. Ci sono alcune questioni che diventano quindi inevitabili dato che le risorse destinate a questa misura, nella migliore delle ipotesi, saranno circa 10 miliardi di euro. Servirebbero molte milioni di proposte di lavoro perché il quadro stia in piedi. Non solo, dato che i dati sulla disoccupazione consegnano due realtà diversissime tra il nord e il sud del Paese, queste proposte di lavoro dovrebbe essere fatte al sud, dove la presenza di imprese industriali che esportano è molto minore che al nord e dove le infrastrutture sono pessime, con un Governo che, come è stato fatto notare su queste colonne, si spaventa alla sola vista di un sacco di cemento. Aggiungiamo che le prospettive dell’economia globale sembrano meno rosee di quanto si immaginasse un anno fa come dimostra, per esempio, la consistente revisione al ribasso della previsione del Pil tedesco annunciata ieri.



A questa osservazione se ne aggiunge un’altra. Non è chiaro se le proposte di lavoro che verranno avanzate si applicheranno a tutto il territorio nazionale o meno. Se un’azienda del nord o del centro Italia “fa una proposta di lavoro” questa proposta è valida su tutto il territorio nazionale? Non è affatto una questione banale, eppure ci sembra che manchi qualsiasi elemento per fare luce sulla questione. I posti di lavoro oggi si concentrano al nord e in particolare nell’area del nord-est; come si conciliano le differenze evidenti tra il mercato del lavoro del nord e del sud del Paese con uno strumento come il reddito di cittadinanza? Si può ipotizzare un trasferimento di personale qualificato, quello “appetibile”, dal sud al nord del Paese? Forse sì. Il reddito di cittadinanza, oltretutto, ha un valore diversissimo, dato la differenza del costo della vita, a seconda che venga percepito in una regione piuttosto che in un’altra. Rimane irrisolta la questione dei 50enni usciti dal mercato del lavoro che difficilmente avranno un’alternativa. Questo ovviamente è un problema datato che riguarda questo Governo come molti di quelli precedenti.



L’ultima questione è questa. Perché la misura del reddito di cittadinanza abbia un senso serve che ci siano imprese che “buttano fuori” proposte di lavoro e abbiano bisogno di assumere. In parte questa questione viene “risolta” dalla riforma delle pensioni con le imprese che, nel migliore degli scenari, si liberano di personale molto costoso e potenzialmente datato dal punto di vista delle conoscenze e lo sostituiscono con contratti molto più convenienti dal punto di vista fiscale e contrattuale. Il nuovo contratto a tempo indeterminato è solo una pallidissima imitazione di quello vecchio e nella migliore delle ipotesi è solo un buon contratto a tempo determinato. Come minimo ci vorrebbe uno sforzo importantissimo per riqualificare il personale che verrà espulso, con molta più facilità rispetto al passato, in periodi di recessione se non si vuole che il reddito di cittadinanza “esploda”.



Rimangono in sospeso altre due questioni: le imprese che esportano avrebbero bisogno di ingenti investimenti infrastrutturali (si veda il caso del distretto della piastrella) e di costi energetici più competitivi. Due temi su cui c’è grandissima confusione con l’azionista di maggioranza del Governo, il Movimento 5 stelle, ideologicamente contro qualsiasi grande opera infrastrutturale anche al nord dove in teoria ci sono le imprese che già oggi dovrebbero farsi avanti con le proposte di lavoro.