Che una legge redistributiva sia l’unica vera novità del Def 2018 per il Mezzogiorno del nostro Paese fa parecchia tristezza. Sono trent’anni e più che in ogni finanziaria si attende “qualcosa” per i cittadini del Sud. Semplificare la misura redistributiva assegnandole un intento universale, ben consapevoli che troverà la sua platea maggiore nei vecchi confini del Regno borbonico, è una furbata che vuole far passare l’ennesima misura assistenzialista per un “diritto” meramente riconosciuto. Ennesima questua, in realtà, chiesta — a nome del “popolo degli stracci” — dalla classe politica meridionale che, non avendo più la fame atavica del Novecento, non potendo più offrire prati e spiagge su cui insediare petrolchimici e raffinerie, scopre di avere nella carta d’identità il passpartout per la prebenda. 



Anche altrove vi sono “misure uguali”. Peccato che ovunque siano state previste (la Finlandia, la Svezia, a breve la Francia) sono molto diverse le quantità e la distribuzione geografica delle platee. L’intento di fondo è essere utile a pezzi di società che possono per vari motivi avere la necessità di un sostegno tra un passaggio ed un altro delle loro vita produttiva. Un periodo limitato, verificato, per sentirsi meno soli quando non tutto va come dovrebbe. 



Non è così nel Mezzogiorno. La situazione di bisogno non è transitoria e la mobilità geografica e lavorativa è appannaggio solo dei più attrezzati culturalmente ed economicamente. Il reddito di cittadinanza rende ogni ipotesi di ricollocazione immediatamente svantaggiosa. Perché il Mezzogiorno fino ad oggi ha fatto poco per uscire dallo stato di arretratezza strutturale in cui si trova, ha spesso premiato solo politici pronti alla distribuzione di mance, ha abbandonato ogni ipotesi di riscossa, confortato dal fatto che lo Stato centrale era sempre pronto a dare qualche spicciolo in cambio di nulla. 



Senza contare che adesso non proprio spiccioli finiranno nelle tasche della prima impresa del Mezzogiorno, che come sappiamo è la criminalità organizzata. Nella logica dell’uno vale uno, poco importa se un affiliato alla criminalità organizzata, un suo fiancheggiatore o beneficiato, ha i titoli per ricevere il reddito di cittadinanza. L’importante è che sia un cittadino che voti, non extracomunitario, che  abbia un Isee sotto gli 8mila euro, sia un Neet o un disoccupato. Uno qualunque della “paranza dei bambini” avrà tutti i requisiti. Il fatto è che di “picciotti” e “guaglioni” secondo le stime in Italia ce ne sono almeno 20mila. Secondo lo studio di “SoS Impresa” tra le fila della camorra ci sono 6.700 affiliati distribuiti in 75 clan campani per una densità di un camorrista ogni 840 abitanti. Nella stessa rilevazione si legge che la ‘ndrangheta ha circa 6mila affiliati, Cosa nostra 5.500 e la mafia pugliese 2 mila. Numeri riferiti ai soldati disponibili e vecchi di anni. A tenerli buoni, la spesa complessiva a loro favore secondo le tabelle ad oggi diffuse, per il primo biennio della nuova prebenda, sarà di 500 milioni euro. Sommando familiari e aventi diritto (la misura è su base personale, per ciascun cittadino/a, ma agevola i nuclei familiari numerosi), con i beneficiari più o meno diretti, si arriva facilmente ad oltre 700 milioni.

Che una misura contro la povertà sia necessaria o meno nelle società moderne è tema più che legittimo. Ma qui il vero dilemma è quanto sia “moderna” la società del Mezzogiorno, quanto di innovativo vi sia in una misura che mentre ai cittadini delle aree produttive offre un minimo di respiro per superare i disagi della disoccupazione frizionale o del primo ingresso nel lavoro, nel Mezzogiorno ripropone quello che le politiche redistributive a pioggia sono sempre state: una iniqua attribuzione di risorse a chi “sulla carta” risulta disoccupato. Sulla carta, perché controlli dal vivo, casa per casa, sarà anche impossibile immaginarli e perché, soprattutto, non entrano nel modello Isee i conti dei locali notturni e i Suv delle società di comodo. 

Anche limitare l’aiuto semplicemente ai beni di prima necessità apparirebbe iniquo. Dar solo da mangiare (tramite bancomat o app) a famiglie dedite per cultura al crimine, affiliate a famiglie della criminalità organizzata, con le risorse tolte dalle tasse di chi lavora e produce nel Mezzogiorno, mettendo tutti nello stesso calderone, è un’iniqua ed intollerabile stortura. 

La vecchia Dc degli anni 80 – con i suoi alleati – era nel Mezzogiorno la referente delle misure di sostegno al reddito “alternative” promosse dallo Stato. Dalle pensioni di invalidità a maglie larghissime, alla ricostruzione post-terremoto affidata alle ditte di carta colluse con i camorristi, dall’edilizia popolare con interi quartieri nelle mani dei clan (assegnatari di diritto o di fatto), alle assunzioni di massa senza concorso attraverso sanatorie che accontentavano tutti. Dilatando all’inverosimile il nostro debito pubblico. 

Tutto a favore di un popolo tenuto in perenne “stato di bisogno” ma che non bisognava “criminalizzare a priori”, un popolo in realtà usato per avere consenso a buon mercato. 

E’ questa perenne richiesta di aiuto diffuso ed indiscriminato “per il popolo del Mezzogiorno” che unisce e rende assai simile il voto di massa degli 80 e quello del 4 marzo 2018. Allora erano miliardi di lire, oggi parliamo di milioni di euro, ma sono le stesse storture che una politica realmente “nuova” per il Mezzogiorno avrebbe il dovere di impedire: che ancora una volta ingenti risorse finiscano nelle tasche di chi per mestiere e scelta ruba al Mezzogiorno il suo futuro.