Se per non mostrarsi ci si sovrabbliglia o, pur di mostrarsi, ci si sottoabbliglia, beh è la sessuofobia bellezze cos’altro sennò? Cos’altro? Beh, quando vedo in giro gente che rischia di cadere dai tacchi 18 / in sovrappeso dentro fusò che certificano la cellulite sulle chiappe sovraesposte per i tanga / foderata in maglie striminzite a mostrar ciambelle / imbrattate in viso / multicolore il capo, ci sta pure altro. Ehi, in tutto questo c’entra forse il buon senso? Già, quell’antico “esercizio della ragion pratica” sembra non più appartenere al fare di tutti i giorni.



Nelle faccende della vita quotidiana se stare con il burqa appare irragionevole, quel buon senso sembra essere trasceso da un altro senso. Beh, nel mondo islamico, dove quello religioso fa tutt’uno con il quotidiano, questo senso di vestimento sacrificale è parte del sacro. Giust’appunto, lo stesso caro vecchio buon senso che, nell’Occidente secolarizzato, invece sembra essere migrato altrove. Sì, vabbè ma dove, nel “cattivo gusto”?



Macché, di più, molto di più. Per comprenderlo ci si dovrebbe addentrare dentro considerazioni di natura sociologica; forse occorrerebbe lo psicologo, fors’anche un antropologo. Beh, nel tempo dell’eclisse delle competenze, potrei arrabattarmi e dire ma…. di una competenza dispongo, la uso. Studio l’Economia dei consumi, indipercuiposcia, guardo da qui. Ve lo giuro, sarà un bel vedere. Sì, perché qui, in questo universo “senzaddio”, vige un assoluto: la spesa! Quella spesa; proprio quella che genera la ricchezza. Sì vabbè, ma chi può credere a questo nuovo “credo” quando alla vista sembrano esserci solo credini?



Calma e gesso. Se la ricchezza viene generata dalla spesa, per farla tutta, al fin di uscir dalla penuria, s’ha da acquistar tutto quel che è stato reso merce. Per non offrire contrasto al mercimonio occorre non avere tra i piedi inciampi, limiti, misure; quel buon senso insomma. Et voilà un nuovo senso per sostituire quello vecchio che faceva che so… scartare i pantaloni solo quando ormai strappati. Oggi invece così si acquistano. Tant’è, questo il prezzo pagato a quel buon senso andato!

Già, ma chi si è fatto generatore di significato per fornire di senso questa condizione prodiga? Nel mondo abbiente non più le religioni, ormai di nicchia, né quei filosofi ormai esiliati; quelli del marketing e della pubblicità sì. A loro tocca, nel circuito circolare della produzione, tenere fluido il ciclo. Ai primi confezionare la domanda, ai secondi informare in ogni modo e ogni dove per l’acquisto.

Ai consumatori, che per ruolo questo ciclo debbono tenerlo attivo, non resta che fare la spesa; senza se, senza ma. Sì, per generare la ricchezza qualche prezzo s’avrà pur da pagare!