Siamo nani sulle spalle di giganti, recita il detto antico. Ma se non ce ne rendiamo conto, e non valorizziamo la statura di quelli sotto di noi, nani siamo e nani restiamo. Ciò che sta accadendo in questi giorni convulsi di tattica, polemiche, spread e confusione sulla prossima Legge di bilancio fa pensare appunto a un gruppo di governo che ritiene, o pretende, di poter prescindere dalla storia – o banalmente dalla cronaca recente – di tutto quanto è stato fatto fino a ieri o all’altro ieri. O, magari, non è stato fatto: ma per qualche ragione, non sempre riconducibile a malafede, strafottenza, intrallazzo, menefreghismo, o disonestà.
Sul fisco, ad esempio, e sul progetto di “pace fiscale” che viaggia di pari passo con l’embrione di flat tax annunciato dal Governo, si è fatta e si sta facendo ogni giorno di più una grande confusione. Anche – e spiace dirlo, perché è lui sicuramente il politico più avveduto della compagine – per la firma di Matteo Salvini, il quale è intervenuto reiteratamente sul tema in quanto segretario della Lega, più che di vicepremier, perché come uomo di governo le materie di diretta competenza sono già tanto spinose e numerose che potrebbe pure – diciamolo – farsele bastare. E andiamo a rileggere le sue parole: “La pace fiscale che voglio portare fino in fondo – ha detto ieri mattina ai microfoni di radio Rtl – è quella di milioni di italiani costretti a vivere da fantasmi che hanno fatto la dichiarazione dei redditi e poi gli andata male e si portano dietro cartella che non pagheranno mai”. “Non sarà una classica rottamazione ma un intervento a gamba tesa” e riguarderà tutti i debiti “fino a 500mila euro”. Un intervento “a saldo e stralcio” non solo su interessi e sanzioni ma anche “sul capitale”.
Ora, diciamo la verità, e con tutto il rispetto: ma che c’ha guadagnato lui a dire queste cose e cosa c’abbiamo guadagnato noi a sentircele dire? L’unica cosa certa è e resta che i contribuenti che stavano aderendo alle precedenti formule di rottamazione delle cartelle si sono fermati, sperando in condizioni più vantaggiose, con un conseguente immediato calo del gettito. Per il resto di cosa si tratti non si capisce. Parole in libertà, cifre a spanne ai microfoni – senza offesa per Rtl – di chiunque.
Ad esempio: come distinguere a occhio nudo uno dei contribuenti italiani che vivono da fantasmi da uno dei tanti altri che fregano deliberatamente il fisco? Lo fai se sai distinguere un evasore da un poveraccio, ma se sapessero farlo, quelli del fisco, non vivremmo nel delirio fiscale in cui viviamo. Come si può affrontare con tanto semplicismo un problema così complesso?
La flat tax funziona egregiamente in 42 stati del mondo, quasi tutti ex-dittature, a bassissimo indice di fedeltà spontanea fiscale. Tradotto: sono posti dove chi poteva ha sempre evaso le tasse. Poiché è difficilissimo ovunque attivare sistemi capillari di prevenzione dell’evasione, ed è lunghissimo rieducare un popolo, i nuovi regimi di questi Paesi hanno detto: “Cari cittadini-sudditi, vi chiediamo poche tasse, diciamo il 15% del vostro reddito, e se lo pagate vi lasciamo in pace. Ma state bene attenti: se dovessimo renderci conto che fate i furbi ed evadete anche questa piccola tassa che vi chiediamo, per voi è finita. Vi sbattiamo in galera e buttiamo via la chiave”. Detta così, e attuata, funziona. La gente di quei Paesi tende l’orecchio, ascolta un po’ di storie di quelli che hanno tentato di fare i furbi e hanno poi pagato un prezzo carissimo e dice: “Mi conviene pagare”.
Ora: questo deterrente, questo diffuso timore per il rischio di una dura repressione, in Italia non c’è. Da noi si fa ricorso, ci sono i Tar, i procedimenti sono decennali, non c’è la prigione per debiti fiscali, c’è spesso un cognato assessore che t’aiuta, il fisco rompe le scatole assai più di quanto morda. Il Corriere della Sera ha meritoriamente fatto i conti, ieri, nelle tasche dei controlli previdenziali che vengono svolti per reprimere l’evasione contributiva. Ebbene, a fronte di stime relative all’economia sommersa purtroppo in aumento dal 12,8% del Pil (che è già uno sproposito) addirittura verso quota 20%, il gettito da controlli è crollata da 1,4 miliardi circa del 2013 a 1,2 miliardi del 2017, un calo del 15%. Perché? Perché i controlli, deludenti, sono stati riformati affinché diventassero più efficaci e invece lo sono diventati sempre meno.
Una piccola, rabbrividente metafora di quanto profonda sia l’inefficienza della macchina pubblica, peraltro non certo contrastata da quella “casta” di superburocrati ministeriali contro la quale si è scatenata l’ira gialloverde anche stavolta impotente, però, perché non basta gridare alla luna ma bisogna saperla sostituire con un altro pianeta.
Che “pace fiscale” sarà? Comunque vada, sarà un condono. L’ennesima conferma che in Italia il fisco è una cosa iniqua, ma non seria. E per ora, nemmeno Salvini ci può fare niente.