Nel 2011 l’Italia “ha scelto” un Governo tecnico di professori universitari che ha prodotto la manovra “salva Italia”, salutata nel dicembre di quell’anno come la salvezza dell’economia italiana. In quella manovra il Governo Monti prevedeva un Pil in contrazione dello 0,4% nel 2012 e in crescita dello 0,3% nel 2013. Queste previsioni si confrontano con un decremento del Pil del 2,4% nel 2012, una differenza enorme, e un calo dell’1% nel 2013. Sono errori di previsione molto gravi non solo per lo scostamento, ma perché il contesto economico internazionale non si è discostato rispetto alle previsioni che si facevano nel 2011. L’economia italiana nel 2012 si è disallineata da quella francese come mai successo negli ultimi 40 anni a dimostrazione che in Italia e solo in Italia è successo qualcosa di unico. Le previsioni sui saldi di finanza pubblica, ovviamente, si sono dimostrate ancora più sballate e in due anni il debito su Pil italiano è aumentato di 13 punti come se solo in Italia ci fosse stata un’altra crisi Lehman. Alla Grecia con le previsioni clamorosamente errate del Fmi, che ieri veniva ripreso come un oracolo, è andata ancora peggio… qualcuno si prenda la briga di verificare il track record predittivo del Fondo monetario internazionale.
Oggi parliamo delle previsioni “incredibili” del Governo italiano confermando un enorme equivoco su economia e dintorni. L’economia non è una scienza esatta, le previsioni coprono abbastanza bene un trimestre e benino sei mesi, poi l’incertezza diventa massima. Il 99% delle stime fatte, da analisti buy side, sell side e da centri di ricerca, incluse Fmi, Banca d’Italia e Bce, tra sei mesi si riveleranno inesatte o profondamente inesatte. Sono previsioni “politiche” che servono a validare alcune politiche economiche e che nessuno si aspetta vengano rispettate. Oltre i sei mesi la quantità di variabili che concorre a formare la previsione del Pil diventa ingestibile e soprattutto è difficile includere componenti fondamentali come la fiducia delle imprese e dei consumatori.
Focalizzarsi sulle “previsioni” in questa fase macroeconomica piena di elementi di “disruption” come la guerra commerciale, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea o il confronto sempre più muscolare tra Stati Uniti e Cina rischia di essere quanto di più miope e fuorviante ci possa essere. Quelle stime vanno bene o sono utili in fasi “normali” in cui estrapolare dei trend può avere un senso, non certo nella fase attuale.
La questione, a livello italiano ed europeo, dovrebbe porsi in una prospettiva diversa e cioè visto il probabile rallentamento globale e i possibili elementi di “disruption” che politica economica è meglio attuare? L’esperienza del Governo Monti in questo senso è illuminante. Il grafico sotto (che misura l’andamento del Pil) dimostra due cose: che in fase di recessione, 2009, le politiche di austerity puniscono i Paesi più indebitati costretti a fare meno politiche anti-cicliche e che l’austerity, si osservi il disallineamento tra Francia e Italia del 2012, ha effetti sull’economia distruttivi che rendono il debito molto più pericoloso di prima.
Comprimere l’economica e la domanda interna, come dichiarato esplicitamente e “in televisione” da Monti, ha effetti così distruttivi su Pil e capacità produttiva da annullare qualsiasi beneficio derivante da un aumento delle tasse o dai tagli. Il risultato è un Paese molto più fragile dal punto di vista del debito di quanto non fosse all’inizio. Il debito dello Stato italiano è garantito dall’economia italiana, ma se l’economia si sfascia il peso di quel debito aumenta a dismisura. A una banca non interessa quanto “mutuo” sulla prima casa avete fatto, ma se continuate a prendere uno stipendio ogni 27 del mese e se quello stipendio non cala. Si può rimediare a tutto, anche a una gestione subottimale delle finanze familiari, all’unica condizione di non perdere lo stipendio. In questo secondo caso lavorare sui tagli diventa surreale.
In una lettera aperta al Financial Times pubblicata lunedì, il capo economista di Deutsche Bank ci dice che l’Italia negli ultimi anni con il suo surplus primario è stata frugale, che fino a che pagherà quegli interessi su un debito fatto ben prima di entrare in Europa non c’è possibilità di crescita e che l’Europa deve riconoscere che la soluzione al debito non è l’austerity (Europe should acknowledge that the solution to the debt overhang is not outright austerity). Si invoca infatti un accordo tra Italia ed Europa/Germania in cui l’Italia offre riforme e l’Europa non chiede l’austerity e garantisce lo “spread”. Mentre nel 2012 la crisi sovrana dell’Italia faceva comodo a Germania e Francia che banchettavano sull’Italia, oggi evidentemente qualcuno comprende che mandare in recessione grave l’Italia è molto pericoloso. Sfortunatamente non tutti hanno questa lucidità.
Oggi il dibattito sulle previsioni “sballate” del Governo è grottesco; e continuiamo a pensare che con queste obiezioni si continuano a firmare assicurazioni sulla vita a questo Governo. Nessun esecutivo è in grado di fare previsioni che eccedano i sei mesi e abbiamo dei dubbi anche su quelli del secondo trimestre. Queste Governo potrebbe promettere l’austerity con previsioni di crescita sul Pil contenute, facendo quindi pochissimo deficit in senso assoluto, e poi ritrovarsi tra due anni con un debito su Pil esploso via collasso dell’economia reale.
La domanda giusta non è se il Governo abbia fatto le previsioni giuste; e questa non dovrebbe essere nemmeno la prospettiva della Commissione europea. A questo Governo si continua a opporre l’esperienza del 2011, quando le previsioni davvero “incredibili” partorite dal Governo italiano andavano benissimo alla Commissione, nonostante tutti, oltre oceano e in Europa, avessero capito perfettamente il delitto che si stava compiendo contro l’economia italiana e che la medicina era un veleno per evitare una rivalutazione dell’euro, la salita dei salari e dell’occupazione, che “rovinasse” il modello economico europeo delle esportazioni, a tutto discapito della periferia. L’approccio a questa questione dei giornali italiani che si “fidano” di un approccio alle stime economiche religioso ai limiti della superstizione è incredibile, alla luce dell’esperienza del 2011-2012. Persino i tedeschi sembrano alla fine aver capito la minaccia mortale che certe idee rappresentano per l’Unione Europea e per l’euro soprattutto, ripetiamo, in questa fase di tensioni così particolari attorno all’Europa.
Oggi la priorità dovrebbe essere quella di salvare imprese, posti di lavoro e tutto quello, fino all’ultimo centesimo, che rimane della domanda interna europea. Quella domanda dovrebbe essere rilanciata nell’unico modo possibile, e cioè a debito, e con investimenti. Anche i tedeschi dovrebbero concordare che le Audi sono sempre più difficili da vendere in America, e, a breve, anche in Cina. È proprio necessario ammazzarsi per continuare a vendere fuori dall’Europa auto che noi non possiamo più permetterci? È proprio necessario mandare alla malora una fetta importante di domanda interna europea oggi con l’Italia e domani con il resto d’Europa se la regola del 3% o ancora peggio quella del Fiscal compact rimarrà valida in un’economia globale che rallenta e in cui aumentano le sacche di protezionismo? Nel solito scenario di guerra civile europea.
Continuiamo pure a parlare delle previsioni del Governo in un dibattito così sballato e fuori fase che sembra fatto apposta per tenerlo lì per i prossimi 20 anni… per far rientrare lo spread basta che in Europa si cominci a validare un’altra narrazione e cioè che il deficit su Pil italiano è modesto, che l’Italia è uno Stato europeo con un track record invidiabilissimo di surplus primari e che in questo modo si evita il vero incubo dei mercati e cioè un’altra recessione “Monti” che colpirebbe un Paese molto più stremato di quello del 2011.