Dopo la lettera spedita dall’Italia alla Ue, si sono registrate le prime risposte, molto dure, da parte di alcuni Paesi come Austria e Olanda. A testimonianza che la manovra del governo giallo-verde non riesce a far breccia, non solo all’interno della Commissione. Anche le aperture dell’ultima ora – riduzione del debito del 6% in tre anni e privatizzazioni per 18 miliardi nel 2019 – non hanno scalfito opposizioni e diffidenze al di là delle Alpi. Il ministro Tria, intervenendo alla presentazione del rapporto annuale della Fondazione Nord-Est, a Padova, è tornato a difendere la politica economica del governo: “L’Europa siamo noi e lo sarà anche di più se dialoghiamo con convinzione per definire la strategia per governare le transizioni”. E pure il vicepremier Luigi Di Maio ha fatto sapere che “il governo sta lavorando per evitare la procedura d’infrazione, ma la manovra non sarà lacrime e sangue”. In questo dialogo tra sordi, l’Italia riuscirà a convincere Bruxelles e gli altri partner europei? E le privatizzazioni, visto quel che è stato fatto e raccolto negli ultimi 10-15 anni, come verranno realizzate? Raggiungeranno il target previsto? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Maria Rinaldi, professore di Finanza aziendale all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Pescara ed economista vicino a Savona.
Professore, Italia e Ue oggi sembrano divise da muro che sembra inscalfibile. E’ così difficile convincere la Commissione? Cosa si può fare?
Basterebbe trovare gli stessi argomenti con cui Germania e Olanda riescono da molti anni a convincere gli altri partner Ue a non prendere provvedimenti nei loro confronti a causa del surplus di bilancio, che contravviene ai regolamenti previsti dal Six Pack. La Germania vìola quasi ininterrottamente dal 2006 la regola che per tre anni il surplus non può essere superiore al 6% del Pil. L’Olanda lo fa addirittura in maniera sfacciata, visto che dal 2010 registra punte anche superiori al 10% di surplus. Mi sembra però che su questo punto a Bruxelles siano un po’ troppo distratti. Vorrei, poi, ricordare che proprio il fatto che vengano sistematicamente accumulati surplus di queste entità è uno dei motivi che generano gli squilibri alla base di grossi problemi all’interno del’Eurozona, per cui le aree ricche si arricchiscono e quelle povere si impoveriscono sempre di più.
Tutti hanno criticato e bocciato la politica economica del nostro governo, eppure il ministro Tria è tornato con forza a difendere la manovra, sostenendo che “offre una risposta diversa ma non meno solida e credibile” per uscire dalle transizioni puntando sulla crescita. Perché nessuno crede a questa solidità e credibilità?
Non è che la manovra non sia solida e credibile, non vogliono che lo sia.
Perché?
Perché l’Italia ha ribaltato i paradigmi su cui finora si è concentrata l’azione della governance Ue. È chiaro che, se i risultati fossero effettivamente quelli prospettati dalla manovra del governo italiano, sarebbe di fatto come sbugiardare tutto ciò che la Ue ha professato in questi anni. E ciò potrebbe essere di enorme stimolo anche per gli altri Paesi a seguire gli stessi princìpi adottati dal governo Conte.
Stando alle prime durissime reazioni che sono arrivate da Paesi come l’Austria e l’Olanda, sembra che nessuno sia intenzionato ad avallare questo impianto. Anzi, non pensa che l’equazione, che dovrebbe avverarsi dopo il voto europeo di maggio 2019, “sovranisti uguale indulgenza sui conti pubblici per favorire manovre pro-crescita”, sia sbagliata e da correggere?
Io lascerei, per buona norma, la parola agli elettori europei. Poi vedremo. Tutte le previsioni formulate negli anni passati da tutti gli organismi internazionali, compresa la Ue, si sono rivelate completamente errate. Inutile ricordare ciò che è stato fatto alla Grecia, senza dimenticare che poi sono stati costretti ad ammettere gli errori compiuti, ma intanto il danno, anche piuttosto evidente, è rimasto.
Quindi?
Fa benissimo il governo italiano a scegliere prima l’interesse del Paese e poi quello delle regole. Ci dicono sempre che sono solo il termometro, perché noi siamo la febbre, ma nessuno dice che il termometro che utilizzano a Bruxelles è rotto.
Veniamo alla lettera che il governo italiano ha spedito alla Commissione. Non potendo abbassare il livello di deficit, il 2,4% considerato comunque “invalicabile”, Tria ha offerto una robusta riduzione del debito: -6% nel triennio 2019-2021. Non è servito a granché, non crede?
Se non c’è la volontà di capire le esigenze dell’Italia, i numeri proposti dal governo e da Tria non possono certo fare qualcosa. C’è ormai uno scontro di carattere politico all’interno della Ue. Non scordiamo che l’attuale Commissione è espressione dei due partiti che governano da sempre l’Europa: il Ppe e il Pse. Guarda caso, sono gli stessi raggruppamenti di cui fanno parte i due maggiori partiti d’opposizione qui in Italia: Forza Italia e Pd. Di fronte al fatto che questi due partiti sono in totale confusione e non riescono a esprimere una valida opposizione, ci pensano i loro “colleghi” europei.
Il governo ha giocato anche la carta delle privatizzazioni, che dovrebbero fruttare 5 miliardi quest’anno e 18 nel 2019. Ma quello delle dismissioni non è un target troppo vago e ambizioso, considerato quel che è stato fatto e raccolto negli ultimi 10-15 anni?
Ambizioso, senz’altro. Ma distinguerei tra privatizzazioni e dismissioni. Con le prime, si procede alla cessione di quote, anche di maggioranza, di partecipazioni pubbliche, come già fatto in passato. Con le dismissioni, invece, si aliena patrimonio immobiliare. Oggi sarebbe impensabile poter privatizzare quote di partecipazioni in società anche strategiche, basti pensare a Eni, Enel o Leonardo, in cui il dividendo percepito dallo Stato per queste partecipazioni è ben superiore al costo del debito pubblico che si andrebbe, per l’appunto, ad abbattere con il ricavato. Sarebbe un pessimo affare, anche perché perderemmo effettivi gioielli di famiglia con contenuti strategici di interesse nazionale.
E allora come si possono ottenere i 18 miliardi prospettati nella manovra?
Anche nelle dismissioni del patrimonio immobiliare bisognerà fare un’accurata e intelligente selezione. Molti immobili pubblici sono occupati da amministrazioni pubbliche, a livello centrale e periferico. Vendere immobili anche di prestigio, dovendo però poi sostituirli magari con affitti di altri immobili, potrebbe vanificare ogni tipo di convenienza. È pur vero che lo Stato italiano è proprietario di immobili che non sfrutta e che potrebbero avere un valore di mercato.
L’ex ministro Tremonti, interpellato sull’argomento, ha detto che la parte più buona del patrimonio pubblico è già stata messa sul mercato e non è rimasto quasi più nulla da vendere…
No, c’è ancora molto da vendere.
A che cosa pensa?
La lista precisa non ce l’ho. Ma so che il bravo professor Edoardo Reviglio già nel 2011 fece un puntualissimo studio sul patrimonio pubblico italiano, compreso quello immobiliare. E penso ci sia ancora molto su cui lavorare.
Si interverrà anche sulle concessioni, magari anche su Mps, ormai nazionalizzata?
Questa è un’eventualità, o meglio una condizionalità che ha posto il ministro Tria. Vale a dire che, solo se non si riuscirà a mantenere il 2,4% di deficit, scatteranno le dismissioni.
Sempre nella lettera dell’Italia alla Ue si legge anche che il ministro dell’Economia è tenuto “a verificare che l’attuazione delle leggi avvenga in modo da non recare pregiudizio al conseguimento degli obiettivi concordati e ad assumere tempestivamente, in caso di deviazione, le conseguenti iniziative correttive”. Vista la posizione di debolezza di Tria rispetto ai due vicepremier, Salvini e Di Maio, non era meglio investire di questo compito il presidente del Consiglio, se non l’intero Governo?
Tria è il ministro tecnico preposto ad affrontare questo problema e lo stesso Conte, nel suo ruolo di presidente del Consiglio, avrebbe comunque dovuto delegare il ministro competente. Spetta al Mef verificare se sussistono queste condizionalità e, nel caso, intervenire. Tenendo conto, poi, che il deficit sarà sempre parametrato al Pil. E qui si spera che si abbia un vantaggio in termini di crescita del Pil, il che consentirebbe di rispettare il 2,4% senza interventi aggiuntivi.
Gli ultimi dati macro mostrano però un forte rallentamento dell’economia italiana. Rischiamo di entrare nel 2019 con una crescita praticamente piatta…
Qui vale la regola del mal comune mezzo gaudio.
Cioè?
Mi sembra che dai dati che stanno affluendo in questi giorni, anche gli altri Paesi, a iniziare proprio dalla Germania, stiano soffrendo un forte rallentamento della crescita. Ciò significherà che molti si troveranno a breve nella condizione di dover rivedere i rapporti deficit/Pil già programmati. Sarei molto curioso di vedere, nel caso altri Paesi scorassero magari il tetto del 3%, da cui noi siamo invece ampiamente lontani, quali provvedimenti adotterà la Commissione Ue. Si useranno due pesi e due misure? Partiranno raccomandazioni? Letterine? Qualche altro partner tuonerà come l’Olanda?
Secondo lei, dovesse azzardare una previsione, si arriverà alla procedura d’infrazione o si riuscirà a trovare un compromesso?
Quale procedura? Per eccesso di debito? Attenzione: i dati forniti dalla Commissione sono delle stime. Si apre una procedura per un parametro che si potrebbe verificare il prossimo anno? Mi sembra un’esagerazione.
(Marco Biscella)