Non sarà la nuova presa della Bastiglia o la riedizione del Maggio ’68, ma la protesta dei “gilets jaunes” che promettono di bloccare la Francia merita di essere seguita con attenzione. Non fosse che per il carattere spontaneo di questa manifestazione, esplosa sull’onda della protesta per l’aumento del carburante e i vincoli alla circolazione nelle città, organizzata sfruttando le reti virtuali. Senza una regìa, anche se tra gli aderenti figura un buon numero di simpatizzanti di destra e di sinistra. Ma anche sfruttando la delusione dei francesi, a partire dalla “gente comune”, non più accomunata da distinzioni di classe, sesso, età e nemmeno di razza. La Francia, a pochi mesi dal voto europeo, entra così a pieno titolo nell’area del disagio politico, raggiungendo una ricca compagnia guidata dall’Italia, ma di cui fanno parte anche la Germania, che sente il fiato della possibile, prossima recessione, l’area dell’Est Europa, satelliti su un piano economico del gigante tedesco ma alla ricerca di uno spazio politico autonomo. Per non parlare del Regno Unito, dilaniato dal conflitto sulla Brexit.



Le ragioni del disagio sono tante, più volte analizzate. Ma tra queste figura un fenomeno relativamente trascurato: la distruzione della ricchezza finanziaria provocata dai tassi bassi. Un deposito basato sul Libor avrebbe prodotto finora un rendimento del -0,4% quest’anno, considerato che i tassi a tre mesi si trovano ancora in territorio negativo. E le prospettive sono tutt’altro che rosee, come spiega Chris Iggo, gestore di Axa:  “Con ogni probabilità – scrive – lo scenario potrebbe ripetersi nel corso del prossimo anno anche se la Banca centrale europea iniziasse a rettificare i tassi di interesse dopo l’estate. Col primo intervento sui tassi, il tasso sui depositi potrebbe anche non raggiungere lo zero. Questo significa che il rendimento della liquidità nel 2019 probabilmente sarà ancora negativo (e in termini reali ancora più negativo, se l’inflazione sarà tra l’1% e il 2%)… In sostanza, a partire dal 2015, i rendimenti cash in euro sono negativi e il rendimento medio di un portafoglio obbligazionario in euro è dell’1% soltanto all’anno. Nel 2017 è andata bene alle azioni, che quest’anno però hanno perso gran parte dei guadagni. Nel complesso, sono stati anni faticosi per gli investitori europei”.



Per carità, la politica dei tassi sotto zero di Mario Draghi è stata la risposta monetaria necessaria, anzi obbligata, per tenere in vita una comunità finanziaria che nel frattempo registrava squilibri crescenti tra Paesi come l’Italia, costretta a inseguire surplus di bilancio record pur di sostenere l’onere del debito, e la Germania, con un attivo commerciale che, anno dopo anno, ha raggiunto livelli eccezionali, addirittura il 12% del Pil. Il denaro a basso costo ha permesso di sopportare uno squilibrio che sarebbe stato più saggio rimuovere con una politica adeguata degli investimenti. Ma così non è stato.



La distruzione di valore del risparmio, legata a una politica del costo del denaro a livelli bassi, è stata una delle conseguenze indesiderate. L’Eurozona, assieme al Giappone, è diventata un’oasi ideale per la speculazione finanziaria che si è approvvigionata di denari a basso prezzo per poi investire in maniera più remunerativa. Nel frattempo i risparmiatori europei hanno perso potere d’acquisto e si è generato un disagio che accomuna i pensionati tedeschi e l’ex Bot People, ormai premiato (si fa per dire) da rendimenti modesti o da brucianti delusioni in Borsa o nei nuovi strumenti (vedi i Pir).

I tassi bassi troppo a lungo hanno dunque non solo bloccato la crescita della produttività e frenato l’innovazione, ma anche punito la classe media, la chiave di volta del consenso. Eppure, oggi più di ieri, cambiare passo è rischioso: per Mario Draghi l’ultimo anno di mandato si annuncia ancora più difficile.