Il Presidente della Bce Draghi ieri si è espresso con queste parole: “La mancanza di consolidamento fiscale nei Paesi ad alto debito aumenta la loro vulnerabilità agli shock, che siano auto-prodotti mettendo in forse le regole dell’Unione monetaria, o importati tramite il contagio”. Queste dichiarazioni dovrebbero essere uno spunto per un dibattito vero.



Il primo punto potrebbe essere questo: in una fase di rallentamento globale quale consolidamento fiscale è necessario? La discussione dovrebbe concentrarsi sulle regole e chiedersi se la loro rigida applicazione sia la soluzione migliore. Oggi, nel 2018, discutiamo di questi argomenti avendo alle spalle sia la crisi globale di Lehman Brothers, sia quella dei debiti sovrani nel 2011. Quello che abbiamo imparato è che in periodi di rallentamento globale, il sistema economico europeo, tutto fondato sulle esportazioni, insieme alle regole europee causa il divaricamento della performance dei suoi Paesi membri e in particolare della periferia, inclusa la Francia. L’economia europea respira al ritmo del commercio mondiale e quando le cose vanno male il combinato di regole fiscali rigide e di mancanza di meccanismi efficaci di redistribuzione interna, si veda l’incapacità europea di sanzionare il surplus intra-europeo tedesco, genera una divaricazione di performance economica e un trasferimento di sovranità reale da debitori a creditori che è stato registrato da osservatori di diversissime opinioni politiche.



La seconda questione su cui occorrerebbe un dibattito è questa: in Europa si riesce a sanzionare molto bene chi non rispetta le regole fiscali, ma non si riesce a sanzionare chi non rispetta le regole sui surplus commerciali intra-europei. L’Europa per funzionare dovrebbe poter incidere su entrambe le questioni e la seconda non è affatto meno importante della prima. Chi ha ragione tra Germania che accusa l’Italia di essere una cicala e Italia che accusa la Germania di operare in modo “disonesto” violando lo spirito e le regole dell’Unione europea? Un’unione monetaria come l’euro senza correzioni su entrambi i fronti si traduce nel lungo periodo o in una frattura traumatica o in una colonizzazione. Oggi registriamo che il non rispetto delle regole fiscali europee è sanzionato efficacemente, via mercati, mentre quello sul surplus intra-europeo non lo è.



Terzo punto. L’euro è una concausa delle molte crisi finanziarie che abbiamo visto in Europea negli ultimi anni. L’euro non agisce automaticamente per controbilanciare le crisi di un singolo Paese, ma anzi le amplifica per le rigidità di una politica economica che non va bene a nessuno. Perché la Banca centrale non fa, per mandato, quello che fanno tutte le altre e perché non c’è nessuna valvola di sfogo sul cambio. Si accendono i riflettori sulla disobbedienza dell’Italia sapendo che l’Italia senza l’Europa non può fare assolutamente nulla per far rientrare la speculazione su cui anzi si può lavorare per una partita politica interna europea in cui gli uni tentano di sfruttare le debolezze degli altri. Oggi l’Italia per far rientrare la sua crisi può solo sperare in un cambiamento europeo.

Possiamo cambiare Governo domani, fare un deficit dello 0% e poi vedercela con i “mercati” che sanno che la Bce ha le mani legate se la Germania non dice sì e che i saldi di finanza pubblica si deterioreranno proprio a causa dello “spread”. Gli investitori vendono Btp, lo spread sale, l’economia deraglia e quindi si valida lo scenario iniziale sapendo che nessuno può fermare questo circolo vizioso se non la Bce che però non può scendere in campo. Il fatto che il mercato dei Btp sia sottile ovviamente ne aumenta la volatilità potenziale. È chiarissimo che sparare sull’Italia o sulla periferia europea diventa lo sport dei mercati mondiali perché è facilissimo.

Possiamo dire che su questi tre punti ci possa essere un dibattito che ecceda i confini del sovranismo? Infatti, molti insospettabili si esercitano su questi temi da molti anni e sono tante le voci autorevoli che segnalano due cose: i gravi difetti strutturali dell’euro e che questi difetti premino le economie più forti a tutto discapito di quelle più deboli. Se la risposta a questo dibattito diventa un’adesione stupida a un processo di integrazione che avviene a tutto discapito della periferia, allora non fingiamo più di stupirci per il successo dei “populisti”.