Nello spigoloso confronto sulla manovra che oppone Roma a Bruxelles il prossimo appuntamento è fissato per domani, quando la Commissione europea pubblicherà la sua valutazione sulla seconda sostanzialmente immutata, tranne per il rafforzamento del piano di dismissioni, versione del Documento programmatico di bilancio inviato nella notte del 13 novembre dal ministro Tria sulla base delle regole del patto di stabilità e crescita. Con un’analogia pescata nella teoria dei giochi, Lorenzo Pace, professore di diritto dell’Unione europea all’Università del Molise e autore del volume “Il regime giuridico dell’euro”, ricostruisce la dinamica del conflitto e configura i possibili scenari delle future interazioni tra il Governo e Commissione, usando come modello il game of chicken ovvero il gioco del pavido. Se per converso il termine fa venire in mente le intimidazioni verbali che il viceministro Salvini lancia all’indirizzo di Bruxelles “ci provasse a imporre sanzioni”, di fatto, il modello matematico del gioco, cerca di individuare quali saranno le scelte razionali di due soggetti che si muovono su traiettorie contrapposte e di sicura collisione.
Applicato al contrasto tra eurocrati e governo pentaleghista che cosa significa?
Il “gioco” mira a prevedere il loro comportamento razionale. Se Commissione e Governo decideranno di mantenere il loro “corso” orientato alla collisione da parte dell’Italia perché rimane inflessibile sul contenuto della manovra, da parte dell’Europa perché non cede sull’applicazione delle norme sull’euro. Oppure se modificherà il proprio corso esclusivamente la Commissione o, viceversa, il Governo; o se, in ultima analisi, entrambi i giocatori modificheranno la propria strategia. La teoria dei giochi conclude che il comportamento più razionale in questo set-up sia che uno solo dei due giocatori cambi il proprio corso, quindi o Bruxelles o Roma.
A suo avviso?
Prima di valutare se questa possa essere una conclusione realistica, è utile considerare i motivi che hanno determinato le strategie dei due giocatori. L’obiettivo razionale del Governo sembra essere quello di voler “attuare le parti qualificanti del programma economico e sociale su cui ha ottenuto la fiducia del parlamento italiano”. Anche a costo di violare il quadro giuridico dell’euro con tutte le possibili conseguenze. Sfidando Bruxelles, il Governo scommette forse sul presupposto che l’Italia sia “too big to fail” e che l’Europa, per evitare un fallimento, verrà a patti con Roma. Invece, l’iniziale disponibilità al dialogo della Commissione è venuta meno a seguito del rifiuto del Governo di apportare qualsiasi correzione alla manovra del 15 ottobre già respinta dall’autorità europea, ma anzi ribadendo l’intenzione di spingere il deficit fino al 2,4%.
Intransigenza eccessiva da parte di Bruxelles?
Bisogna capire che per la Commissione accettare un’intenzionale violazione delle regole costituirebbe l’ammissione di una carenza di autorità. Col rischio di aprire un precedente. Tale preoccupazione è tanto più sentita che è ormai opinione radicata che sia stata proprio la deliberata violazione nel 2003 delle regole dell’euro da parte di Germania e Francia a contribuire a far scoppiare, sei anni dopo, la crisi dell’eurozona. Proprio per scongiurare il ripetersi di una simile crisi sono state emanate, tra il 2011 e il 2013, le normative che ora l’Italia sembrerebbe voler violare.
Nella storia dell’euro il game of chicken si ripete?
È stato già “giocato” tre volte tra Bruxelles e Atene, sebbene nella ben più tragica fase dei tre bail-out (2010, 2012, 2015). Nell’impossibilità di fatto, più che di diritto, per gli Stati di uscire dall’euro, il risultato del “gioco” ha sempre visto soccombere la Grecia con conseguenze economico-finanziarie, ma anche sociali, che sono sotto gli occhi di tutti.
Potrebbe accadere in Italia? Che cosa spinge Bruxelles ad agire più come gendarme o più come mediatore?
In linea generale Bruxelles è sempre venuta incontro alle particolarità economico-finanziarie italiane, così come di altri paesi periferici, al fine di favorire un lento e graduale raggiungimento degli obiettivi fissati dal regime giuridico dell’euro. Ciò riflette lo spirito di negoziazione tipico della disciplina dell’euro e fa supporre, anche questa volta, che la volontà di Bruxelles sia quella di pervenire a un compromesso tra i due “giocatori”. E questo dimostrerebbe felicemente l’erroneità delle previsioni della teoria dei giochi. D’altra parte, l’Italia non è la Grecia sotto molti punti di vista, tra cui quella del peso della sua economia. Aspetto che può essere al tempo stesso un vantaggio come un’aggravante. Se infatti la dimensione produttiva dell’Italia (e del suo debito) può costituire un “incentivo” per Bruxelles nel trovare un compromesso, d’altra parte, però, la rilevanza economica dell’Italia rispetto alla Grecia, porta a valutarla nell’ottica della stabilità della moneta unica, come più pericolosa della Grecia. Motivo per non cedere e proporre l’apertura, per la prima volta nella storia dell’euro, di un procedimento per debito eccessivo. Ne va, infatti, della stabilità di un progetto politico continentale come quello della moneta unica europea.
Con la procedura sanzionatoria che cosa rischia l’Italia?
Con l’apertura di una procedura per debito eccessivo l’Italia rischia di dover ridurre annualmente del 5% il debito in eccesso rispetto al tetto del 60% “rapporto debito/Pil” previsto dal Trattato di Maastricht. Da calcoli approssimativi, dovrebbe ridurre il proprio debito di circa 60 miliardi l’anno.
(Patrizia Feletig)