Ve lo avevo preannunciato qualche tempo fa e lo confermo: cercherò, nel limite del possibile e degli obblighi deontologici che il mio lavoro mi impone, di trattare il meno possibile le italiche miserie nei miei articoli. Ormai è tempo perso, gli eventi stanno andando con il pilota automatico. Si può solo accelerarli a questo punto, come mi pare stiano facendo a turno i due vice-premier. Ormai è il chicken game come in Gioventù bruciata: chi farà cadere il Governo per primo? E, soprattutto, quale sarà il casus belli che giustificherà la crisi politica? E, soprattutto, quando?



Nel frattempo, lo spread si è mosso dal suo torpore ed è uscito dal range 290-310 in cui ha pascolato per settimane: anche in questo caso, c’è poco da stupirsi. Con la risposta dell’Europa al nostro ennesimo niet a ogni intervento sulla manovra, cosa vi aspettavate, se non una reazione da cane di Pavlov dei mercati? Oltretutto, come vi dicevo, ci vuole poco adesso a far impennare il nostro differenziale di rendimento, stante i volumi di trading per pochi intimi che caratterizzano il nostro debito sul mercato secondario, come d’altronde ha confermato il “successone” del primo giorno di collocamento del Btp Italia. Un capolavoro assoluto, roba da applausi a scena aperta. Ma nulla di nuovo o di cui stupirsi, sapete tutto da giorni. Forse, da settimane. Il problema è la non consapevolezza collettiva della magnitudo di ciò che ci sta per arrivare addosso. E non come italiani, come mondo. Perché, francamente, gli allarmismi sui media riguardo lo spread sono ridicoli. E, temo, unicamente ideologici.



Le dinamiche in atto, se si conoscono un minimo i mercati, sono palesi: quindi, agitare titoloni per dieci punti base intraday come ieri, significa fare propaganda, non informazione. La stessa propaganda del Governo, ben intesi. Il quale, non a caso, da cinque giorni sta scannandosi su un tema non esattamente dirimente o di emergenziale attualità come i termovalorizzatori. E che, proprio ieri, ha dimostrato come ormai siano ai titoli di coda, in attesa che sullo schermo l’immagine viri sul seppia, si vada in dissolvenza e la bobina cominci a girare a vuoto, uscendo dal proiettore che ci ha regalato questo brutto film horror. Vogliamo parlare del blitz stile Chicago PD contro i Casamonica, con tanto di ministro Salvini in abito blu che arriva sul posto? Occorreva farlo proprio ieri, giorno deputato alla montante tensione in vista della risposta dell’Ue e seconda giornata di collocamento del Btp Italia, dopo il flop dell’esordio? Oltretutto, a pochi giorni dalla cortina fumogena dello sgombero del Baobab per coprire/oscurare il fallimento del vertice di Palermo sula Libia: almeno un po’ di fantasia.



E poi, signori, la vera perla. Sapete benissimo come la pensi sull’immigrazione, ho difeso pubblicamente il “Decreto sicurezza” e lo confermo. La vicenda Aquarius, però, è niente più che la classica bolla da disinformazione di massa. Cos’è successo, in realtà? Nel compilare la bolla di accompagnamento dei rifiuti depositati nei porti, l’equipaggio della nave salva-migranti ha omesso di specificare che la spazzatura conteneva, tra le altre cose, gli indumenti potenzialmente infetti dei migranti, i quali potrebbero quindi essere finiti nella raccolta indifferenziata. Grave, per carità. Ma, a parte che un audio dimostra come l’equipaggio abbia chiesto alla Capitaneria di porto di Napoli come comportarsi in merito e gli sia stato risposto di muoversi «come una zanzara in una cristalleria, non un elefante», parliamo della stessa Napoli, dove – a occhio e croce – la differenziata non funziona proprio alla perfezione. E di più, parliamo dell’Italia, dove grazie alle mafie, sappiamo tutti che i rifiuti tossici sono da sempre smaltiti con la massima cura e tutela per l’ambiente e la salute. Et voilà, la Procura di Catania non è però rimasta inerte – ci mancherebbe, è suo dovere – e ha disposto il sequestro dell’Aquarius e del suo conto corrente di riferimento e appoggio, mentre 24 tra membri dell’equipaggio e di “Medici senza Frontiere” sono indagati per aver «sistematicamente condiviso, pianificato ed eseguito un progetto di illegale smaltimento di un ingente quantitativo di rifiuti pericolosi». Rifiuti pericolosi, accidenti. Tradotto nella realtà, mutande sporche e assorbenti intimi usati, con ogni probabilità.

Il ministro Salvini, ovviamente, ha subito trovato un minuto libero nel corso del suo sopralluogo stile Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo! nella periferia romana e ha twittato: «Ho fatto bene a bloccare le navi delle Ong, ho fermato non solo il traffico di immigrati, ma anche quello dei rifiuti». Ora, io capisco che pur di non ammettere che si è tradito ogni singola promessa elettorale e che la situazione economica del Paese sta andando a rotoli, avanguardisticamente rispetto al resto d’Europa e del mondo, si arrivi a dire e fare di tutto, però un limite al ridicolo occorrerebbe porlo. Per decenza, più che altro. Tra tante cose, tu guarda che combinazione, all’Acquarius si imputa il traffico di rifiuti pericolosi, proprio in queste ore di dibattito in seno al governo sui termovalorizzatori, i roghi tossici, la Terra dei fuochi e dei cuori! Ma pensano davvero che abbiamo tutti l’anello al naso? Sono alla frutta, questi due casi sono la riprova palese: la lastra di ghiaccio su cui sta camminando il Governo si assottiglia ogni giorno di più, ormai è trasparente. Si sta sciogliendo sotto i loro piedi. Peccato che non cadranno nell’acqua gelata da soli, porteranno con sé il Paese.

Ma attenti, perché la distrazione di massa è collettiva. Bipartisan. E terribilmente in modalità all-in, come nel poker. Mio malgrado, ieri ho dovuto fare la rassegna stampa italiana. Non un singolo quotidiano aveva in prima pagina l’ennesimo schianto di Wall Street, capitanata dal Nasdaq con un altro bel -3% nella seduta di lunedì. Non uno. Eppure alle 22 tutto era noto, non c’è nemmeno più la scusa della “ribattuta” fuori tempo massimo. E sapete perché? Perché è la nuova normalità. Anzi, lo deve essere. Altrimenti, le mitologiche élites non avrebbero raggiunto un risultato simile: ancora una volta, i tonfi della bolla finanziaria li pagherà il parco buoi. E a questo punto, scusate ma sono contento. Spero che perdano anche le mutande, magari imparano una volta per tutte a capire che un titolo come Apple non può valere quanto quello di un’azienda che scopre il vaccino universale contro il cancro. Fa solo dei telefonini, belli quanto volete, ma alla fine servono a mandare i messaggini a vostra moglie e farvi i selfie al ristorante. Non salvano vite, non creano Pil: creano solo dipendenza da consumo. E gonfiano, in questo modo, i multipli di utile per azione.

Sono le code all’alba davanti agli AppleStore a creare e bolle, non le banche. Quelle vendono, guadagnando, ciò che la gente chiede. Domanda-offerta, tutto qui. Quindi, se siete così poco furbi da non capirlo, così supponenti da non informarvi e così gonzi da pensare che una banca vi ceda l’occasione del secolo non perché sia ai massimi e sia quindi giunta l’ora di disfarsene, ma perché il promotore finanziario è in realtà una dama di San Vincenzo, allora è giusto che vi spennino. Scusate, ma è ora di farla finita con l’apologia dell’analfabetismo non solo finanziario ma anche funzionale, in quanto sinonimo percepito di umiltà e onestà: ignorantia non excusat. Mai. Il mondo si sta schiantando. Lentamente, giorno dopo giorno, ma a fare notizia sono dieci punti base di aumento del nostro spread o la procedura di infrazione che probabilmente oggi la Commissione Ue annuncerà per l’Italia. Non il debito pubblico e privato del sistema finanziario totalmente e irrimediabilmente fuori controllo, non il credito di nuovo in crisi sistemica e strutturale, non il mercato obbligazionario ad alto rendimento che sta per esplodere e fagocitare qualche triliardo di controvalore di bond che trattano ancora nell’investment grade solo per uno o due gradini di rating, ma che, esattamente come quello di General Electric, ormai tradano de facto su rendimenti da junk.

Questo fenomeno di downgrade reale rispetto al rating ufficiale si sostanzierà nel fenomeno di caduta a valanga, denominato dei fallen angels: fateci il callo, fatelo entrare nel vostro lessico quotidiano come accaduto con spread. E non per fare un figurone al bar, ma perché sarà la realtà con cui dovremo confrontarci. Per mesi, non giorni. Guardate questo grafico, mette in prospettiva quanto sintetizzato dal -3% di Wall Street di lunedì sera, ennesimo bagno di sangue totalmente ignorato dai media. Il comparto delle mitiche Fang (Facebook, Apple, Netflix e Google), i titoli tecnologici che hanno sostenuto il Nasdaq verso sempre nuovi record fino all’estate scorso (anche grazie a buybacks record, garantiti a loro volta da Fed e rimpatrio di capitali offshore grazie alla riforma fiscale di Trump), oggi è ai minimi da febbraio.

Sapete cosa significa, in soldoni? Congiuntamente, quei quattro titoli hanno bruciato capitalizzazione per 610 miliardi di dollari. Non vale un titolo di giornale? Non dico ieri, ma nelle ultime settimane, almeno una volta? E magari non l’apertura, ma almeno un bel taglio di prima pagina? Certo, è capitato in ottobre quando precipitava tutto, è capitato magari la scorsa settimana en passant: peccato che qui il problema sia strutturale. E sistemico, perché la lotta è aperta e senza esclusione di colpi solo per riuscire a farsi meno male possibile, non per uscire illesi dalla prossima crisi. E noi, cosa stiamo facendo? E le istituzioni europee, quelle politiche, cosa stanno facendo, ora che il giochino dell’Italia come casus belli per armare di nuovo la mano alla Bce è andato fuori giri, grazie allo scherzetto commerciale di Cina e Usa e della politica da terrorismo finanziario della Fed sui tassi di interesse? Sapete cosa farei, se fossi il ministro Giovanni Tria? Oggi, giorno del gran verdetto europeo, mi presenterei a Bruxelles di mia sponte, senza chiedere nulla ai litiganti di Roma e farei distribuire a tutti i membri della Commissione Ue, ai funzionari, alle segretarie, ai commessi, agli addetti al catering e alla pulizie, ai baristi e anche a tutti i passanti, fotocopie di questo grafico, il quale ci mostra come ieri mattina, mentre il mondo gridava allarmato per il nostro spread e le nostre banche sotto pressione a Piazza Affari, il titolo di Deutsche Bank aggiornasse i suoi minimi da inizio anno, un bel -48%, arrivando a perdere il 3,1% all’ora di pranzo contro il -1,7% dell’intero Stoxx 600 Banks Index. Dopodiché, pronuncerei il mio doveroso mea culpa per quella manovra da idioti in campagna elettorale perenne che abbiamo presentato e azzererei le polemiche, chiedendo di fare le persone serie e affrontare la questione generale. Ovviamente, coinvolgendo Mario Draghi.

Ma io sono solo un giornalista da poco, mi limito a raccontare i fatti. Ma l’informazione, quella “autorevole”, sta assolvendo con coscienza al suo ruolo in questo momento di delicatezza e drammaticità con pochi precedenti? Davvero limitare il proprio racconto allo spread, alla flat tax, al reddito di cittadinanza e non spiegare cosa accade davvero sui mercati, il perché, in base a quali dinamiche distorte e interessi ancora inconfessabili, può reputarsi deontologicamente leale e accettabile? Io non credo. In questo momento di dubbio totale e di incertezza, ho però una convinzione. Granitica. Quando George Orwell parlò di “tempo dell’inganno universale”, pensava a tutto questo. Pensava al nostro tempo. E, forse, sarà stato felice di non doverlo vivere.