Giuseppe Conte si prepara a incontrare domani Jean-Claude Juncker e alla Camera ha fatto sapere che “nella risposta all’Ue ribadiremo e puntualizzeremo gli effetti della manovra sulla crescita: ci sarà un’accelerazione degli investimenti e una rimodulazione in Parlamento di alcuni interventi se possono accrescere gli effetti positivi sulla crescita senza alterare ratio e contenuti”. Da parte del Governo sembra esserci quindi la volontà di un dialogo con la Commissione europea e l’apertura a possibili modifiche della Legge di bilancio bocciata da Bruxelles. Anche se sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio ci tengono a precisare che non ci saranno stravolgimenti. Non è semplice capire il momento e i possibili sviluppi che ci potranno essere. Abbiamo fatto quindi il punto con Massimo D’Antoni, professore di Scienza delle finanze all’Università di Siena.
Professore, cerchiamo anzitutto di capire cosa può comportare l’apertura della procedura di infrazione che ormai sembra scontata.
La procedura di infrazione non è di per sé un evento eccezionale. Per esempio, noi ne siamo usciti nel 2013, la Francia ne è uscita l’anno scorso e la Spagna quest’anno. Si tratta di un diverso regime di controlli da parte dell’Europa che comporta richieste più pressanti di aggiustamento dei conti. La storia recente dimostra comunque che si può essere in regime di infrazione per diversi anni senza subire conseguenze pesanti.
Cosa accadrebbe se non venissero seguite le indicazioni europee?
In tal caso c’è la possibilità di comminare sanzioni, ma non mi risulta che in passato si sia mai arrivati a questo punto. Ho l’impressione che la stessa Commissione più che sui meccanismi politico-sanzionatori conti sull’effetto indiretto che la situazione di conflitto che si è venuta a creare provoca via mercati finanziari. Il vero elemento di pressione sull’Italia verrebbe cioè esercitato dalla difficoltà a collocare i titoli di Stato presso gli investitori. Bruxelles sa benissimo che la pressione dei mercati finanziari potrebbe indurre un Paese molto indebitato come il nostro a cedere.
Dunque, a dispetto di quel che ha detto Moscovici, a far salire lo spread non sono le dichiarazioni dei rappresentanti del Governo italiano…
Prima delle dichiarazioni, è quanto scritto nella manovra che appare come una sfida aperta alle regole europee e quindi suscita il timore di un acuirsi del conflitto che può portare a rotture più drammatiche. Ma anche le dichiarazioni di certi esponenti “europei” contribuiscono a riscaldare il clima. Mi hanno colpito l’altro giorno le parole di Daniele Nouy, numero uno della sorveglianza bancaria unica della Bce, che ha detto “incrociamo le dita per le banche italiane”, un’espressione che, considerato il ruolo di chi le ha pronunciate, non suona certo di rassicurazione. Ho l’impressione che tutti stiano facendo la loro parte nell’agitare i mercati, non solo il Governo italiano, che di certo ci mette del suo.
Il Governo italiano a questo punto cosa può fare?
Mi pare che all’Italia non siano state date vie d’uscita diverse dal ritiro della manovra e dal rispetto delle regole. C’è una visione proprio diversa su quello che è necessario fare: il Governo ritiene che occorra rilanciare la crescita attraverso la domanda. Nei rapporti della Commissione leggiamo che dall’anno prossimo l’economia italiana avrà raggiunto il suo potenziale, e quindi non è più possibile per il nostro Paese invocare come in passato il persistere di una situazione di crisi. Al contrario, come in tutte le fasi positive del ciclo, bisogna concentrare gli sforzi per consolidare la posizione finanziaria del Paese, al fine di ridurre gli elementi di rischio in vista di un possibile futuro rallentamento dell’economia.
I segnali di una possibile crisi globale in arrivo però non mancano…
In effetti mi sembra tutto molto paradossale, perché da un lato si dice che le previsioni del Governo sono troppo ottimistiche perché l’economia sta rallentando rispetto alle previsioni di questa primavera. Dall’altro, il fatto che ci sia questo rallentamento non viene considerato un elemento sufficiente a giustificare una politica espansiva, come sarebbe ragionevole. Si sottolinea il rischio che la situazione possa presto peggiorare, ma da questo si fa discendere la necessità di politiche di riduzione del debito invece di consentire stimoli che possano contrastare tale rallentamento. Peraltro, rispetto al debito sento spesso sui media affermazioni eccessivamente allarmistiche.
A cosa si riferisce?
La Commissione rimprovera all’Italia di non ridurre il debito in maniera adeguata, in linea con le regole del patto di stabilità, ma nello stesso tempo si ammette che con la manovra il debito in rapporto al Pil non aumenterebbe, nemmeno alla luce delle sue stime che sono meno generose di quelle utilizzate dal Governo e dall’Istat. Insomma, il motivo della bocciatura non è un debito fuori controllo, ma la scelta del Governo di stabilizzarne la dimensione in rapporto al Pil invece di ridurlo in modo deciso come sarebbe richiesto dalla cosiddetta regola del debito. Si tenga conto a questo riguardo che tale regola non è stata rispettata nemmeno negli anni passati.
Eppure non c’è stata alcuna contestazione da parte di Bruxelles…
Perché sono state fatte valere una serie di condizioni che attenuavano gli obblighi, per esempio il fatto che fossero state realizzate alcune riforme (come il Jobs Act) o il fatto che l’economia fosse ancora lontana dal potenziale. Ora si dice che queste condizioni non esistono più e quindi si chiede il rispetto della regola. La Commissione insiste poi molto sul non rispetto di impegni che erano stati presi dal nostro Paese nella prima parte dell’anno.
Torniamo alle mosse che potrebbe fare il Governo italiano.
L’approccio molto duro della Commissione mi fa pensare che, tolto il caso di una resa politica del Governo, non ci siano molte vie d’uscita. Solo che mi sembra difficile che l’esecutivo possa fare una marcia indietro senza pagare un prezzo politico molto alto. Io credo che la procedura verrà attivata e a essa seguirà nei prossimi mesi la richiesta di una correzione di rotta; la partita continuerà insomma nel corso del 2019, subito prima o subito dopo le elezioni europee.
Nel frattempo ci sarà da affrontare lo spread.
Come dicevo, non siamo in una situazione di allarme per cui il debito è fuori controllo, la Commissione stessa dice che non esistono rischi di breve periodo di solvibilità per l’Italia. Se si leggono i report della Commissione non si trova una giustificazione dell’allarme che lo spread sembra segnalare. Certo un differenziale intorno ai 300 punti base è un elemento serio di preoccupazione del quale il Governo non può non tenere conto, ma non siamo ancora a livelli di insostenibilità.
(Lorenzo Torrisi)