Il cittadino/contribuente/cliente deve perseverare nella convinzione auto-motivazionale di essere un sopravvissuto al moderno ’29, un highlander, un Robinson Crusoe sull’isola deserta del post-subprime, un eletto chiamato a ricostruire il mondo dopo il fall-out atomico, uno che ha scampato la crisi della Grecia e il governo Monti! Che, addirittura, può permettersi il lusso di andare sei giorni in vacanza – chiedendo un finanziamento – e cambiare lo smartphone, almeno i selfie vengono una bellezza e possono testimoniare con nitidezza d’immagine ed effetto smagrente di non essere a Milano in agosto, collocazione geografica che, se comprovata, è passibile di espulsione dal genere umano. Quasi una damnatio memoriae in salsa social, per cancellare la quale occorre un ricorso massiccio a Unieuro. E al credito al consumo, ovviamente. Insomma, ti fanno sentire come l’evoliano uomo in piedi sulle rovine, in realtà sei Cipputi di un Altan nemmeno troppo ispirato.



E veniamo alla base della truffa in atto, quella che fra pochi giorni diventerà l’allarme globale per i media mainstream, perché una cosa è tenere buono il parco buoi, un’altra negare l’evidenza quando ormai il recinto è stato divelto e tutto attorno sembra un campo di rugby di serie C a fine campionato. Almeno le forme vanno preservate. Per capire, occorre conoscere il baluardo del successo delle Fang (escludo Amazon perché, rispetto alle altre, ha tutt’altro modello di core business e basa il suo successo sul cannibalismo del commercio tradizionale), il quale si fonda su tre pilastri.



Primo, informazione martellante e mitizzazione del brand, un qualcosa che penso non necessiti il mio intervento in sede di delucidazione. La pubblicità è il rumore di un bastone in un secchio di rifiuti, scriveva George Orwell in Fiorirà l’aspidistra. Due, i buybacks azionari. E qui, forse, posso esservi un po’ più utile. Cosa sono? Di fatto, riacquisto di proprie azioni sul mercato da parte di una ditta. Perché farlo? Nel contesto da Qe globale, per ragioni molto mistificatorie ma necessarie al mantenimento della narrativa: abbassare il flottante (ovvero le azioni sul mercato disponibili all’acquisto), tenere alte le valutazioni (di fatto, artificialmente, perché ricompri te stesso) e, combinato di queste due attività, avere abbastanza flusso di cassa per pagare dividendi agli azionisti e bonus ai dirigenti (più qualche briciola di premio ai dipendenti, spesso in stock options). Sapete quale è stato il motore dei buybacks, a loro volta motore immobile dei rialzi record degli ultimi trimestri, come mostra questo grafico?



Lo shock fiscale innescato da Donald Trump appena insediatosi alla Casa Bianca, il quale attraverso una tassazione di favore ha favorito il rientro in massa dei capitali offshore detenuti all’estero dalle corporations americane. Le quali, per fare soldi facili anche in vista della crisi in arrivo e per non sputare politicamente nel piatto dove stanno mangiando, hanno reinvestito gran parte di quel taglio fiscale in buybacks. Stando a dati del Financial Times, le nostre Faang hanno speso in buybacks nei primi tre trimestri di quest’anno qualcosa come 115 miliardi di dollari, quasi il doppio dell’intero 2017. Questi grafici spiegano alla perfezione quanto accaduto, il secondo poi mette in relazione quanto speso in riacquisto di proprie azioni con quanto speso in CapEx, ovvero spese fisse per investimento. Alla faccia della ricerca e dello sviluppo!

Prendiamo proprio Apple, la quale – a fronte di circa 350 miliardi di denaro rientrato fresco di taglio fiscale negli Usa – nei primi tre trimestri di quest’anno ha speso in CapEx 14,5 miliardi di dollari, mentre in buybacks qualcosa come 62,6 miliardi di dollari, tre volte quanto speso nello stesso arco temporale del 2017. Ora, però, nemmeno più i buybacks riescono a reggere il confronto con la realtà. E gli indici sprofondano. Seduta dopo seduta. Perché gli ordini diminuiscono, la febbre da iPhone, iPad, Mac, alla fine cala, si affievolisce. E come dice il vecchio motto di Borsa, sempre valido, the bigger they are, the harder they fall. Ed ecco il terzo pilastro, strettamente collegato al primo: l’aspettativa. E la fantasia al potere, ovvero l’idea malata e falsa in nuce che il mondo non potrà mai fare a meno di smartphone, nemmeno fossero cibo o acqua. Cosa fa muovere, infatti, il valore di un titolo azionario, oltre ai fondamentali macro e, in questo caso, i buybacks? I multipli di utile per azione o Eps, di fatto la prospettiva che gli analisti danno rispetto all’andamento futuro di un titolo in base ai suoi conti e alle aspettative di mercato: diciamo che rispetto a Apple, è valso appunto l’assunto in base al quale uno con l’iPhone o il Mac risolve i problemi di fame, sete, freddo, caldo, stanchezza, malattia. Tutto. E tutto il mondo lo vuole e lo vorrà sempre di più.

Guardate questo grafico, il quale ci mostra l’evoluzione dei returns garantiti dal titolo Apple prima, durante e dopo il lancio di un nuovo prodotto, quasi sempre il nuovo modello di iPhone. È tutta attesa, tutta aspettativa e niente di realmente innovativo o, tantomeno, irrinunciabile. Di fatto, la bolla tech che sta esplodendo – per ora in maniera ancora controllata, almeno rispetto alla sua magnitudo – si può dire che sia paradossalmente responsabilità della gente che sta in fila dall’alba di fronte agli Apple Store di mezzo mondo per comprarsi un telefono identico a quello che già possiede, se non per due idiozie di impostazioni in più. O differenti. La stessa gente che, paradossalmente, quando il botto borsistico sarà divenuto mainstream, grazie a un evento catalizzatore e pop come fu il crollo Lehman, maledirà Wall Street, la finanzia, il turbocapitalismo e gli avidi banchieri di tutto il mondo. Invece, la colpa è principalmente loro.

Sono quelle file all’alba e quei bivacchi in sacco a pelo la notte, per essere il primo la mattina dopo, che hanno garantito all’Eps di Apple di segnare multipli irreali e totalmente scollegati dalla realtà di mercato e macro: il mercato, nell’epoca della droga pubblica delle Banche centrali (alla faccia del turbocapitalismo), è tutto apparenza, aspettativa e dissimulazione. Di reale, c’è poco. Persino i crolli, perché qualcuno ne sta già approfittando, rastrellando a prezzo di sconto titoli fino a ieri alle stelle. Perché ci sarà sempre una nuova Apple che nascerà dalla vecchia Apple, finché ci sarà schiavitù dei consumi di massa. E con mercati, come Cina e India, con una classe media potenziale e in fieri enorme da intercettare. Non ci credete? Guardate questo ultimo grafico, un bel dejà vu, un flashback degno di un allucinato film di Stanley Kubrick, una replica di Happy Days che piace sempre o di Rambo che fa comunque più ascolti dei talk-show, come faceva causticamente notare Matteo Renzi: che dite, il mercato non è ciclico come vi dico?

E la mitica gente, il popolo, l’opinione pubblica, quella che vuole spazzare le élites dalla faccia della Terra in nome del solidarismo di facciata e della guerra santa dei pezzenti, come cantava Francesco Guccini, com’è in realtà? Ma tranquilli, Fed e Bce stanno per tornare al timone. L’armageddon è rimandato, godetevi il Natale. Tanto, c’è il credito al consumo. Poi si vedrà.

(2- fine)