In un precedente articolo ho richiamato l’attenzione su come con le operazioni di Quantitative easing abbiamo subìto delle penalizzazioni rispetto a Germania e Francia. Comunque si vada a fondo nelle relazioni con l’euro, si nota che molto, moltissimo andrebbe cambiato per trasformare questa Europa in un organismo unitario accettabile per la popolazione europea. I disastri causati a Cipro prima e alla Grecia addirittura in misura drammatica, riducendo alla fame migliaia di bambini, si sentono in tanti altri Paesi.



Ora vorrei sottoporre all’attenzione un altro aspetto che appare marginale, di poco conto, ma che potrebbe da solo riuscire a rimettere a posto i conti se solo seguissimo l’esempio dell’Austria. Numerose interrogazioni parlamentari o in sede europea hanno da tempo sollevato un problema sempre rimasto irrisolto: a chi deve essere attribuita la proprietà dell’euro in sede di emissione? Invero numerosi studiosi lo avevano anticipato, chiedendo che fosse esplicitamente previsto che la proprietà venisse attribuita ai cittadini europei perché, grazie alla loro accettazione del nuovo strumento di scambio, ne avrebbero suggellato il valore; altrimenti la moneta, com’è avvenuto, diventa un elemento che erode la ricchezza reale prodotta a vantaggio di coloro che la emettono addebitandola e pretendendo un interesse che è impossibile reperire, a meno che non ci sia un organismo che sia deputato a stampare un ammontare di banconote e/o monete almeno equivalente agli interessi che maturano in un determinato Stato; in questo modo si annullano i movimenti speculativi che vanno sotto il nome di spread.



Invero, ciò sarebbe possibile se ciascuno Stato fosse abilitato a coniare e a spendere monete per un importo corrispondente agli interessi che maturano sui debiti a carico di tutti i residenti pubblici o privati del territorio in cui circola l’euro. Cosa succede nella realtà?

Mi limito a presentare i volumi massimi di emissione di monete metalliche autorizzati dalla Bce per il quadriennio 2015-2018, confrontandoli con i coefficienti relativi alla distribuzione delle banconote e conseguentemente le spettanze per l’Italia sulla base dell’applicazione di quei coefficienti:

Dall’esame dei dati sopra riportati, non è assolutamente ipotizzabile che l’Austria (7,3 milioni di cittadini residenti) abbia un utilizzo di contante monetato superiore a 2,5 volte quello italiano (55,4 milioni di cittadini residenti al netto degli stranieri), quasi a significare che in quel Paese nessuno utilizzi le carte di credito. Ne consegue che se l’Italia avesse adottato i parametri austriaci (avendone più titolo per la ben nota diffidenza alla diffusione di strumenti elettronici di pagamento), avrebbe dovuto emettere, nel quadriennio preso in considerazione, almeno un ammontare di euro pari a 6.784,8 milioni. Non parliamo invece degli anni precedenti, quando l’ammontare delle emissioni di monete metalliche è stato concentrato sui centesimi!



Soltanto da quando ho sollevato la questione, l’Italia ha innalzato le richieste per il 2017, dapprima a 96 milioni di euro, per poi chiedere per lo stesso anno un ulteriore innalzamento a 141 milioni, che ha costretto la Bce a modificare la sua precedente Decisione: stiamo parlando della Decisione (Ue) 2017/2442 della Banca centrale europea dell’8 dicembre 2017, che ha modificato la Decisione (Ue) 2016/2164).

Per emettere il suo volume di monete, l’Austria utilizza anche il taglio da 10 euro. All’Italia, al confronto, dovrebbe essere data la facoltà di emettere monete metalliche fino al taglio da 100 euro! A questo punto, considerati gli arretrati che ci spettano e l’effetto di capitalizzazione dei quantitativi non emessi, potremmo utilizzare il controvalore per ridurre il debito pubblico italiano di oltre 200 miliardi di euro.

I soliti noti non hanno alibi: nessun effetto inflattivo, blocco assoluto dello spread e, almeno sull’emissione delle monete metalliche, parità di trattamento con gli altri Paesi dell’eurozona. Ma i nemici li abbiamo in casa; ecco perché si fanno sempre più insistenti le richieste di abolizione del contante, si obbligano i cittadini ad aprire conti bancari o postali, non si chiedono le emissioni di monete metalliche paragonabili ai quantitativi richiesti dall’Austria, ben più avanti nell’utilizzo di sistemi elettronici di pagamento.