«Stiamo trattando», ha dichiarato il premier, Giuseppe Conte, al termine della cena con Jean-Claude Juncker. Di fatto, una sconfessione della linea formalmente oltranzista dei suoi due vice. Di più, le cronache parlano di un ministro Tria molto preoccupato sulla questione dello spread, tanto da dire chiaramente che «continuare la guerra non serve a nessuno». Poi, un paio di perle a coté della situazione. Primo, il consiglio del premier greco, Alexis Tispras, a detta del quale l’Italia farebbe meglio a cedere subito alle richieste dell’Ue, «perché poi sarebbe peggio». Secondo, l’allarme felpato di Romano Prodi, intervistato da Lucia Annunziata: «Il deficit al 2,4% è stata una provocazione. Attenti ai mercati, serve saggezza». Insomma, molti messaggi più o meno in codice ma nessun risultato pratico. Almeno, stando a quanto di ufficiale è filtrato dalla cena di sabato sera.



Particolare non da poco: a parlare, in maniera più o meno chiara, è stata sola la parte italiana. La controparte europea ha preferito la linea del silenzio. Forse perché ancora preoccupata dalla questione Brexit, risoltasi poche ore dopo con il voto positivo all’addio di Londra da parte dei 27: peccato che il difficile inizi ora, visto che – stante la resa incondizionata del Regno Unito in cui si è sostanziato l’accordo arrivato al tavolo di Bruxelles – sarebbe stato stupefacente il contrario. Ovvero, un “no” europeo. Ora, toccherà a Westminster dire la sua, pare entro a metà di dicembre: tutto può succedere e sarebbe davvero paradossale che, ottenuto il via libera europeo, sia la stessa Londra che lo ha voluto, a bocciare il Brexit. Chi vivrà, vedrà. Come la penso al riguardo, lo sapete.



Ma se la politica ha reso più o meno noti i suoi stati d’animo sul momento particolarmente delicato che sta vivendo, i mercati ieri hanno parlato chiaro. E, nonostante le contrattazioni fossero chiuse, lo hanno fatto con la solita, brutale franchezza. A farsi messaggero e interprete delle tensioni che covano sotto l’apparente calma degli ultimi giorni, addirittura con lo spread in netto ritracciamento dopo la bocciatura della nostra manovra, ci ha pensato un report di Goldman Sachs, il cui contenuto si sostanzia alla perfezione in questo grafico: stando a dati relativi alla fine di settembre, l’indicatore di rischio sistemico della Bce, il proxy che traccia le pressioni sulle necessità di finanziamento dei governi, sta approcciando i livelli visti l’ultima volta al picco della crisi dell’euro del 2011-2012, di fatto con un unico catalizzatore. Proprio il nostro spread rispetto al Bund.



E non basta, perché questo altro grafico va oltre: gli squilibri di bilancio all’interno di Target2 sono aumentati ulteriormente nel mese di ottobre. Gli ultimi dati disponibili parlano chiaro: l’Europa cosiddetta core, quella del Nord capitanata dalla Germania e che contempla Lussemburgo, Finlandia e Olanda, ha raggiunto un nuovo livello massimo di credito, pari a 1,318 triliardi di euro (il 70% dei quali in capo alla sola Germania), molto vicino al piccolo storico dello scorso giugno. In parallelo, le liabilities delle economie cosiddette periferiche (Italia, Spagna e Portogallo) sono ulteriormente aumentate a 957 miliardi di euro. Nei fatti, due Europe. Ma anche all’interno del cosiddetto Club Med, ci sono differenze e, purtroppo, sono tutte in negativo per l’Italia, visto che a differenza di Spagna e Portogallo, le nostre liabilities verso Target2 sono continuate a crescere senza sosta dallo scorso maggio. Ovvero, da quando è iniziata la tensione politica legata alla nascita e all’insediamento del governo giallo-verde.

Per Goldman Sachs, l’evoluzione degli squilibri in seno a Target2 può direzionarsi ontologicamente in due direzioni, antitetiche e guidate da quelli che vengono definiti malign driver e benign driver. Nemmeno a dirlo, attualmente è il primo a guidare in maniera sottostante la nostra rotta. Di cosa si tratta? Semplicemente, per la banca d’affari un malign driver riflette il cosiddetto esodo di capitali verso Paesi ritenuti più sicuri. Detta in maniera ancora più piatta, depositi bancari che cercano accoglienza in istituti di credito di nazioni percepite come più solide all’interno dell’unione monetaria, quindi senza i rischi connessi alla ridenominazione della valuta in essere. Andando proprio brutali, fughe di capitali. E potenzialmente in grande stile, almeno rispetto alla messa in guardia di Goldman Sachs. La quale, tanto per non essere tacciata di pessimismo cosmico o, peggio, di analisi interessate per aumentare la percezione di rischio, allega al suo report questo ultimo grafico, dal quale si denota come, se a livello aggregato, i depositi dei cittadini e delle imprese italiane non finanziarie non abbiano subito scossoni, quelli di compagnie assicurative, fondi pensioni e altre istituzioni finanziarie dallo scorso maggio in poi siano cominciati gradualmente a calare, di pari passo con l’aumento della volatilità dovuta all’incertezza politica.

E ancora. Se il lato positivo della vicenda sta nel fatto che, stando a informazioni disponibili alla fine dello scorso mese di ottobre, la magnitudo del nostro malign driver a oggi appare ancora relativamente contenuta e nell’area dei 100 miliardi di euro, quello negativo rischia di essere potenzialmente letale. Per Goldman, infatti, la riduzione dell’esposizione creditizia di investitori stranieri e istituzioni finanziarie non bancarie nel nostro Paese fino a settembre – una gran parte della quale si era tradotta in depositi bancari cash presso nostri istituti – appare un segnale già oggi allarmante. E, fa notare la banca, le informazioni su cui si basano le analisi contenute nel report sono tutte antecedenti all’acuirsi dello scontro fra Governo italiano e Commissione Ue sulla Manovra, quindi tendenzialmente soggette a un peggioramento già nel breve termine. O già in atto.

Per Goldman, «partendo da questi presupposti, il rischio reale è che nei prossimi mesi le liabilities italiane in seno a Target2 saranno mosse quasi integralmente da forze negative, da un malign driver». Tanto più che, «essendo i depositi l’asset finanziario più facilmente trasferibile di tutti, le forze negative potrebbe rapidamente rafforzarsi e aumentare di intensità, se le incertezze politiche e il confronto fra Roma e Bruxelles sulla manovra economica dovessero aumentare sostanzialmente di durezza e intensità». In questa prospettiva, «la raccomandazione della Commissione UE di lanciare una procedura di infrazione come risposta alla manovra italiana aumenta questo rischio, avendo in sé il potenziale per creare tensione politica addizionale».

Insomma, Goldman Sachs lancia un allarme in piena regola. E, soprattutto, sembra mettere in guardia l’Italia dalla tentazione di ridimensionare la minaccia europea, derubricandola ad atto formale che – se mai si sostanzierà in sanzioni reali – ci metterà mesi a prendere corpo. Di fatto, nei pensieri di Salvini e Di Maio, dopo le europee, alle quali sono certi di fare il pieno di consensi. Sicuri che da qui a maggio non rischi di accadere nulla? E se quelle fughe di capitali aumenteranno di volume, magari “stimolate” da allarmi come quelli lanciati da Goldman Sachs, solitamente tenuti in debito conto da chi investe? E poi, come mai questa fretta di mettersi al tavolo a discutere, questa voglia di ricucire lo strappo, questa cena riparatoria apparentemente formale o poco più? Di cosa si è parlato, veramente? Quali concessioni, dirette o paventate, ha messo Giuseppe Conte sulla tavola imbandita di Bruxelles? E perché il silenzio tombale della Commissione, mentre Giuseppe Conte appena rientrato, ha sentito il bisogno di parlare con i cronisti, cosa ad esempio mai fatta dopo i viaggi a Washington?

Corriamo il rischio, causa mancanza di informazioni qualificanti, di sottovalutare l’accaduto di sabato sera e i contraccolpi/sviluppi che potrebbe potenzialmente avere sulla politica del Governo e, forse, anche sulla sua stessa tenuta parlamentare? Il tal senso, il report di Goldman Sachs appare un messaggio in codice molto chiaro. E di cui sarebbe davvero stupido ignorare la portata. Se, come penso, in sede Ue si sta correndo contro il tempo per garantire a Mario Draghi un casus belli che gli permetta, quantomeno, di dar vita a delle nuove aste di rifinanziamento a lungo termine per le banche dell’eurozona a inizio 2019, allora i tremori si vedranno praticamente subito. Spread in testa ma, soprattutto, banche, come ci mostra questo grafico relativo alle posizioni short in essere contro nostri istituti di credito, Mediobanca e Banca Mediolanum in testa.

Pensate che l’appello di Giancarlo Giorgetti per un auspicabile bando dello short selling sui titoli azionari più sensibili del Ftse Mib sia stata una sparata casuale? E pensate che, dietro quelle parole, non ci sia stata anche una nemmeno troppo velata critica all’assenza perdurante di un capo alla Consob, di fatto ostaggio di veti politici incrociati? C’è aria pesante in circolazione, meglio non farsi prendere troppo dall’entusiasmo per lo spread in calo e per i sorrisi formali di Juncker e Moscovici: qualcuno deve farsi male, affinché l’ambulanza della Bce possa tornare in campo a sirene spiegate. E i principali sospettati di infortunio, sempre meno programmato (almeno nelle modalità), siamo noi.

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