Per la prima volta uno stress test bancario europeo non appesantisce l’umore economico-finanziario dell’Azienda-Italia. Ieri sera – dopo che l’Eba ha reso noti gli esiti del suo “esercizio” sui bilanci di 48 grandi banche Ue – tutti i titoli bancari italiani sono rimbalzati e lo stesso spread è sceso sotto quota 290. Niente “bocciature” per i quattro gruppi-leader del Paese: Intesa Sanpaolo, UniCredit, Ubi e BancoBpm.
Il polo di Piazza Gae Aulenti – uscito dagli ultimi test dell’authority Ue sempre incinto di un oneroso aumento di capitale – questa volta è stato promosso. Non a pienissimi voti, ma comunque in ottima compagnia. È in una fascia di osservazione comprendente anzitutto Société Générale (candidata a un’aggregazione con UniCredit), ma soprattutto Deutsche Bank, che ha subito una mezza bocciatura nelle ore in cui è emerso un nuovo tentativo di raid di Borsa da parte di un hedge fund di Wall Street.
Sette anni dopo il catastrofico test d’esordio dell’Eba, nel dicembre 2011, non c’è da lamentarsi. Allora le banche italiane – relativamente poco colpite dal collasso dei mercati del 2008 – erano state prese d’infilata dalle “radiografie” Ue al picco dello spread, poco sotto quota 600. E da allora l’interrogativo resta: quel test contribuì all’avvitamento del Pil italiano? L’Eba – guidata dall’italiano Andrea Eria – fu l’artefice ultimo del presunto “complotto” iniziato in estate contro l’Italia? Di certo le pagelle negative alla patrimonializzazione del sistema bancario furono il viatico al credit crunch e quindi alla bolla degli Npl che hanno stretto il sistema-Italia attraverso nella spirale della grande recessione.
Anche nell’autunno 2018 lo stress test “senza perdenti” e con le banche italiane nella parte medio-alta della classifica non è probabilmente veritiero in misura ineccepibile come continua a promettere di essere. Non lo era nel 2011 quando descriveva in buone condizioni la spagnola Bankia, fallita sei mesi dopo. Non lo era allora, né lo è oggi su Deutsche Bank, il grosso del cui bilancio l’Eba continua di fatto a giudicare “non valutabile”. Non lo è – forse – neppure per le banche italiane: questa volta non giudicate “qui e ora” (cioè con lo spread a 300), ma in un contesto “di laboratorio”.
L’odore para-politico di “contentini” e “aiutini” è percepibile: quello di una tecnocrazia Ue a trazione tedesca pesantemente colpita dall’avanzata delle forze sovraniste – anzitutto in Italia – e dall’annuncio del ritiro da parte di Angela Merkel. Ha verosimilmente pesato anche la – non sorprendente – astensione della Lega sulla candidatura di Enria per il Ssm: l’alto funzionario italiano godeva del supporto del presidente Bce Mario Draghi per la guida dello strategico organismo di risoluzione bancaria dell’eurozona. Il vero stress test – anche per il futuro delle banche e della loro vigilanza – è comunque fissato per il 26 maggio 2019, quando gli elettori di 27 paesi dell’Unione saranno chiamati a eleggere 751 rappresentati del nuovo euro-parlamento.