Ora la partita cambia, ora si comincia a fare sul serio. Non so se ve ne siete accorti, ma il Governo che non doveva fare marcia indietro sulla manovra, l’esecutivo del popolo che intendeva proseguire il suo braccio di ferro con l’Europa ha già ceduto. Ovviamente, in maniera tale da non essere colta dall’opinione pubblica e, soprattutto, dall’elettorato dei due partiti di riferimento. Avete notato che, qualsiasi cosa accada nel Paese ma anche in Europa o nel mondo, lo spread non si schioda dal range 290-310? Fluttua, sale e scende, ma resta in quell’area grigia di ormai accettata nuova normalità. Una normalità che non va bene, perché 300 di spread significa 5 miliardi di interessi in più all’anno sul debito, ma visto che qualcuno aveva giustamente pensato di porre la linea del Rubicone in diretta tv a 400, ovviamente quella soglia pare tranquillizzante. L’importante è la percezione che si ha della realtà, non la realtà stessa. Ieri, addirittura, l’euforia del comparto bancario in Borsa per le indiscrezioni che vedevano tutte e quattro le banche italiane “in chiaro” promosse dagli stress test dell’Eba (altri istituti vedono i loro risultati, per così dire, secretati, fra cui Carige), ha fatto rompere al ribasso quel livello psicologico, scendendo in area 280-290.
Davvero pensate che sia merito dell’Eba? Di più, davvero pensate che quegli stress test abbiano un senso? Vi ricordo soltanto che questa estate la Fed ha dato vita ai suoi di stress test, promuovendo tutti gli istituti posti sotto esame, salvo Deutsche Bank con riserva. E ricordate anche come vi abbia dimostrato che si trattasse di idiozie, visto che stando a quelle simulazioni, l’intero comparto bancario Usa sarebbe stato in grado di reggere un indice di volatilità (Vix) a 60 – da circa 12 a cui è piantato da trimestri – e un calo del 30% del valore degli assets. Le ultime 5 settimane ci hanno dimostrato che, senza picchi di volatilità degni del 2008, il mercato azionario globale abbia bruciato 8,2 triliardi di dollari di capitalizzazione, il peggior tonfo dai tempi del crollo di Lehman, Wall Street in testa. Reazione delle opinioni pubbliche? Zero. Panico generale? Zero. Anzi, ieri il nuovo dato sull’occupazione non agricola Usa ha sfondato un nuovo record storico: ecco la narrativa che passa nei media, ecco la narrativa che rende la gente impermeabile al crollo peggiore degli indici azionari dal 2008, appena accaduto. La certezza parallela di un mondo che non è mai stato così bene.
Certo, c’è un po’ di spread in Italia, la Merkel che non sta elettoralmente benissimo, Trump che deve cacciare un po’ di migranti, ma, alla fine, tutto è rosa. Ma se tutto è rosa, perché il nostro Governo ha preso i due provvedimenti simbolo della propria campagna elettorale, ovvero reddito di cittadinanza e quota 100 e li ha scorporati dalla Manovra, inserendoli in due decreti collegati? Ovvero, perché ha di fatto sancito lo slittamento in avanti dell’entrata in vigore di quelle misure, così pesanti a livello di coperture e quindi così incidenti sul deficit, che la Commissione Ue ci rimprovera e manda lettere di richiamo? E se tutto è rosa, perché nel silenzio generale, mercoledì con voto terminato 3 a 1, il Consiglio dei governatori della Fed ha deciso per una modifica dei requisiti di liquidità della grandi banche Usa, ammorbidendoli di molto e mandando in questo modo definitivamente in cantina quel minimo di regole che il Dodd-Frank Act voluto dall’amministrazione Obama voleva dare a Wall Street? Lo ha fatto in nome della lotta alle élites e all’establishment, come ripete sempre Trump e come gli elettori siano convinti la Casa Bianca stia facendo?
Signori, martedì in America si vota per le elezioni di mid-term, pensavate possibile un risultato non fantasmagorico dal dato di ieri sull’occupazione? Di più, pensate davvero che solo i cinesi trucchino i dati macro? E parlando di Cina, come mai se tutto è roseo al mondo, il PMI di Pechino a ottobre è sceso a 50.2 da 50.8 di settembre e al di sotto del 50.6 atteso dagli analisti, come ci mostra il grafico? Come ormai sapete, 50 è la linea di demarcazione fra contrazione ed espansione economica. Insomma, la Cina – il motore produttivo e commerciale del mondo – è a un passo dalla contrazione ufficiale. E, temo, che anche quel dato sia aggiustato: forse, è già al di sotto della soglia di crescita.
Panico nel mondo e sui mercati? No. Per due motivi. Primo, negli Usa casualmente ieri mattina il Wall Street Journal metteva in circolazione l’ennesima indiscrezione in base alla quale, in vista del G20 di Buenos Aires di fine mese, gli sherpa statunitensi e cinesi sarebbero ormai vicinissimi a un accordo che ponga fine alla guerra commerciale a colpi di dazi e tariffe. Insomma, Donald Trump e Xi Jinping dovranno solo firmare il documento, in favore di telecamere e tutto il male del mondo sarà finito. Come se quella contrazione fosse dovuta ai dazi e non all’insostenibilità ormai strutturale di un sistema saturo e senza domanda interna. Insomma, in base alla narrativa, c’è solo da aver pazienza fino al 30 novembre: quando, casualmente, saranno passate le elezioni di mid-term. E poi, chi ha tempo di preoccuparsi della Cina sulla soglia della contrazione, quando tv e stampa impongono come unica priorità il fatto che l’Italia sia sulla soglia del downgrade del rating?
Balla, perché con Moody’s che ci aveva garantito l’investment grade, Standard&Poor’s poteva fare ciò che voleva. Di più, al netto anche di due risultati negativi, avremmo avuto l’investment grade da Dbrs, sia per l’operatività presso la Bce che per quella delle banche sul mercato repo. Esattamente come successo al Portogallo per quasi due anni, durante le continue crisi di governo. Vi dicono ciò che vogliono, il resto deve restare segreto. Per addetti ai lavori. O per complottisti, accusa che è ancora di gran moda. E sapete cosa significa, in realtà, quel dato cinese? Che Pechino, piaccia o no, in qualche forma anche esotica, dovrà ricominciare a stimolare l’economia in maniera più vigorosa, alla faccia dello sgonfiamento controllato della bolla creditizia. Di colpo, i mercati smettono di crollare. Nasdaq in testa, nonostante i conti da pelle d’oca di Apple, il baluardo delle mitiche Faang, a loro volta architrave – insieme ai buybacks, ovviamente – dell’indice tecnologico.
Signori, non va affatto tutto bene sui mercati, non è affatto tutto risolto con la violenta correzione globale di ottobre. È stata solo una purga, ma il malato resta grave, occorre ben altro per tirarlo su. Occorre ciò che vi dico da sempre, dall’inizio della pantomima della fine del Qe globale: un casus belli sufficientemente grande per tornare a stampare come non ci fosse un domani. I giapponesi lo hanno già trovato, peccando di fantasia ma eccellendo in pragmatismo, visto che hanno citato per l’ennesima volta il dato dell’inflazione ancora insoddisfacente. Ora tocca a uno fra Fed e Pboc, come nel chicken game della corsa in macchina in Gioventù bruciata: dopo il voto di mid-term, scopriremo chi è il pollo che ha più paura e più da perdere e ricomincerà a stimolare. Pechino iniettando liquidità, Washington bloccando il rialzo dei tassi, magari già da quello atteso per dicembre.
E l’Europa? Subisce le decisioni altrui, sperando nell’ennesimo coniglio estratto dal cilindro di Mario Draghi. Ma potrebbe essere tardi, potrebbe già essere pre-recessione. Allora servirà l’opzione nucleare. Oppure Cina e Usa ci mangeranno in un sol boccone. E la loro missione sarà compiuta. Nella totale incoscienza di un’opinione pubblica convinta che tutto sia rosa e che la buriana di ottobre sia passata, come il maltempo di questi giorni. La proverbiale rana bollita, insomma. E non dite che non vi avevo messo in guardia con debito anticipo.