Natale del 1924, a Genova si riunisce “La Compagnia Phoebus”. Un cartello fatto da Osram, Philips e General Electrics che decide di ridurre la durata della lampadina, da 2500 a 1000 ore. Alla gente che ha bisogno di luce, insomma, questi illuminati la fulminano prima. Oggi l’Antitrust multa Apple e Samsung: “Aggiornamenti software per rendere vecchi i loro smartphone”. Et voilà, ottobre 2018, si commina la prima condanna al mondo per obsolescenza programmata! Tra quest’oggi e quello ieri sta l’eccesso di capacità produttiva che si mostra in tutte le salse, in ogni dove.



Già, ancor più, dove si aggira gente che per il troppo cibarsi va in sovrappeso, veste alla moda che passa di moda e che per andar da qui a lì magari acquista un Suv: suvvia, quelli affrancati dal bisogno. Benvenuti nel mondo dell’economia dei consumi. Là dove l’offerta si mostra strutturalmente superiore alla domanda, dove hanno più bisogno i produttori di vendere che i consumatori di acquistare! Già, proprio quel luogo che gli accademici non scorgono e che le facoltà di Economia non insegnano.



Ciò detto agli obsolatori (le due aziende hanno violato gli articoli 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo) vengono comminate sanzioni: 10 milioni di euro a quelli della mela morsicata, 5 ai coreani. Entrambi dovranno pubblicare sulla pagina italiana del proprio sito internet un “mea culpa” che informi della multa e rimandi al provvedimento dell’Antitrust italiano. Cavolo, risulta obsoleto pure l’illecito se si paga con gli spicci e le scuse!

Si dirà: l’hanno fatto per non far collassare la produttività dei fattori impiegati. No! Quel sovrappiù, da dover illecitamente smaltire, mostra invece come siano stati mal impiegati quei fattori. C’è dell’altro: i consumatori, per sventare quel collasso, sono stati costretti a mal impiegare le risorse di reddito disponibili per fare la spesa [1] e generare quella ricchezza che ha remunerato quel lavoro e quei capitali.



Sì, in questi 94 anni, sembra andata pressappoco così prima, durante e dopo le crisi che si sono succedute. Dentro questo tempo c’è di più, anzi di peggio. Ci sta quello mostrato dalla Fed di St Louis: la riduzione del potere d’acquisto della metà degli anni Trenta a oggi. Quel debito che gira per il mondo, per surrogare quegli acquisti, arriva a 248.000 miliardi di dollari per fare 77.000 miliardi di Pil. Dopo il detto vien da dire che la misura della produttività marginale di questo debito, per fare quel Pil, decresce dal 1952:

Crescono invece, in numero e in patrimonio detenuto, i super-ricchi del pianeta che, nel 2017, hanno accumulato un patrimonio complessivo di 8,9 mila miliardi di dollari, con una crescita record del 19% rispetto all’anno precedente. La più forte mai osservata. Al contempo, nel 2016, il tasso di occupazione della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni nell’Ue arriva al 71,1 %; quello dei paesi dell’Ocse al 65,3”.

Orbene, prendete questa successione degli eventi, shakeratela ben bene… e, senza farla troppo lunga, eccoci: prodotta troppa merce; più di un terzo della gente non lavora, per gli altri si riducono i redditi da lavoro mentre aumentano quelli da capitale. Ormale, se tutto questo potrebbe essere apostrofato “immorale” per quelli dell’Antitrust te la cavi con quegli spiccioli, con i santi sconti ben altra penitenza. Ma….. la crescita si fa con la spesa, non con la produzione ancor meno con l’etica; ma, appunto, la ricchezza così generata viene incassata dall’impresa e trasferita per remunerare chi ha concorso a generarla, non ai generatori: gulp! Dunque, se questi fatti non son ciance e non lo sono, provoco i Policy Makers: una domanda di cotanto valore deve potersi autosostenere!

Perché? Beh, cosa reclamano quell’obsolescenza, quella sovrapproduzione pure il debito, il lavoro, persino il capitale per smaltire le proprie inefficienze? Domanda! Già, la domanda: l’unica merce scarsa sul mercato, con l’obbligo di farla per i consumatori; che venga fatta una indifferibile necessità per le imprese e per chi vi lavora. Obbligo, appunto, che attende remunero per potersi esercitare. Come?

Bene, di primo acchito ai Parlamenti toccherà disporre una Legge per un’Economia Resistente volta a costruire un ambiente normativo in grado di favorire un più razionale impiego delle risorse generate della spesa. Il modo, insomma, per dare sostegno alla crescita economica e poter calibrare la produttività totale dei fattori impiegati mediante un remunero misurato sull’efficacia dell’azione svolta. Per l’efficienza del mercato, contaminato dal 4.0 nel dare il prezzo al valore, occorre poter disporre di dispositivi software/algoritmo che consentano di poter misurare in tempo reale il contributo produttivo fornito dai diversi fattori alla generazione della ricchezza: produzione, fatturato, magazzino, profitto; la produttività del capitale impiegato, quella del lavoro, il merito del remunero, infine l’eventuale resto.

Resto, che può restare per la riduzione del reddito di quel lavoro reo di aver sovrapprodotto, rimasto in tasca a quelli del capitale pur essi rei di aver comandato la bisboccia produttiva. Sì, quel resto che, in presenza di bip di sistema, segnalando un gap nell’out-put deve poter remunerare il merito produttivo di quell’esercizio di consumazione che, attivato, riattiva il ciclo.

Astruso, complesso? Beh, trattasi di render dinamico quel meccanismo di allocazione/riallocazione della ricchezza ai fattori, per misurare l’azione produttiva al prezzo di mercato, vivaddio ponendo fine, finalmente, a quello statico sempre utilizzato dall’impresa. Per non scalmanare i mercatisti duri e puri mi corre l’obbligo di fare il nome di grandi imprese che hanno aggiornato il meccanismo: rende!

[1] Quella spesa che trasforma con l’acquisto le merci in ricchezza; consumandole fornisce l’input per far riprodurre generando occupazione e lavoro; fornisce continuità al ciclo e sostanza alla crescita. Con l’Iva pagata rifocilla parte della spesa pubblica; con i risparmi la spesa per gli investimenti delle imprese.