Oggi 5 novembre a Bruxelles si riunisce l’Eurogruppo e domani sarà la volta dell’Ecofin. Il “caso Italia”- per utilizzare il titolo di un convegno internazionale di studi tenuto a Washington il 3 ottobre (e di cui abbiamo riferito su questa testata l’8 ottobre) – non avrà le luci della ribalta e non sarà al centro del palcoscenico.



In primo luogo, sotto il profilo formale la Commissione europea, l’Eurogruppo e l’Ecofin attendono che giunga, entro il 13 novembre, la risposta del Governo italiano alle due lettere inviate da Bruxelles a Roma con rilievi fortemente negativi nei confronti della politica italiana di finanza pubblica; nel contempo gli uffici sia della Commissione, sia dei Ministeri competenti degli Stati membri avranno avuto modo di leggere (e forse anche di digerire) le 80 pagine del disegno di legge di bilancio e le 133 pagine della relazione di accompagnamento e, quindi, di farsi un’idea delle giustificazioni già annunciate verbalmente da vari esponenti del Governo italiano. L’Italia sarà probabilmente argomento centrale dell’Eurogruppo e dell’Ecofin del 20-21 novembre.



In secondo luogo, al di là degli ordini del giorno ufficiali (quello dell’Ecofin ha come “piatto forte” l’eventuale “imposta europea sui servizi digitali”), la preoccupazione principale è cosa sarà l’Europa del “dopo Merkel”. Angela Merkel – è noto – lascerà in dicembre la leadership della Cdu e, data la situazione politica createsi nella Repubblica Federale Tedesca, si potrebbe essere costretti ad andare a elezioni nazionali prima del termine normale della legislatura. Dal 2005, Angela Merkel è stato l’unico leader europeo con un’idea chiara dell’integrazione e delle regole europee. Si può essere d’accordo o meno sulla sua visione dell’Europa, ma anche coloro che non la condividono concordano che la Cancelliera tedesca ha pilotato egregiamente l’Europa negli anni difficili della crisi economica e finanziaria e dell’ascesa del populismo e del sovranismo. Pure i suoi oppositori, all’estero come in Patria, si sentono come storditi dalla nuova situazione che si è creata.



L’Italia – si badi bene – non il solo “caso” di un Paese in piena polemica con l’unica visione dell’Europa sinora delineata. Tenendo conto della Gran Bretagna (che è giunta a mezzi estremi), i Paesi a Governi “sovranisti” (Austria, Italia, Polonia, Ungheria) hanno 210 milioni di abitanti sui 500 milioni contando anche i cittadini del Regno Unito (non ancora del tutto “uscito”). Senza i britannici, i “sovranisti” governano circa 140 milioni di abitanti di un’Unione europea di 440 milioni di abitanti. Le posizioni di alcuni Governi “non sovranisti” (ad esempio, di quelli delle Repubbliche Baltiche) sono molto prossime a quelle dei loro colleghi “sovranisti”. All’interno di grandi Paesi (come Germania e Francia) ci sono forti movimenti o partiti sovranisti. Negli ultimi anni, dopo aver gestito molto bene la crisi finanziaria, Angela Merkel è riuscita a tenere in piedi un fragile equilibrio.

Si può pensare a una “alleanza tra sovranisti” analoga a quella tra europeisti che per decenni ha tracciato il percorso di quella che è oggi l’Unione europea? E l’Italia “sovranista” può pensare che tale “alleanza”, ove si formasse, indosserebbe occhiali benevoli nei confronti e dei suoi problemi di finanza e debito pubblico? Credo che chi indugia in questi pensieri avrà un brusco risveglio. I “sovranisti” sono innanzitutto “nazionalisti”, tutt’altro che pronti a correre in soccorso chi, a loro avviso, ha, a torto o ragione, scialacquato risorse e ora chiede aiuto. Non per nulla è stato il giovane Cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che in Patria guida una coalizione “sovranista populista”, a pronunciare le parole più dure nei confronti della politica economica italiana.

Perciò, “sovranisti” ed “europeisti” (specialmente quelli degli Stati Nordici), in attesa del 20-21, utilizzeranno oggi e domani per fare sapere al ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, che è auspicabile un ripensamento di una politica economica mirata alla “decrescita infelice”, e tale da danneggiare non solo gli italiani di oggi ma anche i loro figli e nipoti e a mettere a repentaglio l’unione monetaria e forse la stessa Unione europea.

Non si fanno molte illusioni: nei “telespressi” dalle loro Ambasciate a Roma, si dice chiaramente che il Prof. Giovanni Tria, stretto tra due potenti vicepresidenti del Consiglio, conta come il due di coppe quando briscola è denari. Sperano che sia un buon portavoce presso l’amabile Presidente del Consiglio e i due vicepresidenti del Consiglio, i quali, pur se in lite continua tra di loro, quando la situazione diventa dura stringono i ranghi e fanno sapere chi ha lo scettro del comando.

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